Un filo lega il Mar Rosso a Fleximan: problemi complessi, risposte semplici

Non si fermano gli emuli di Fleximan che durante la notte distrugge gli autovelox

Un filo rosso invisibile lega la crisi del Mar Rosso e Fleximan, l’eroe degli autovelox. È il senso pratico delle persone comuni. Di chi percepisce la realtà in maniera semplice e fatica a ritrovarsi nelle complessità. Si sforza, per non sentirsi inadeguato, ma se la complessità arriva a capovolgere le cose, rivaluta quel senso comune.

Mar Rosso. Da settimane le navi mercantili, attaccate da gruppi armati, fanno il giro lungo e l’economia ne soffre. Questo il fatto, così raccontato e così percepito la sera a cena, guardando il Tg. Per chi si dedica al secondo e contorno, se un gruppo armato attaccasse i furgoni nella via sotto casa l’unica sarebbe chiamare la forza pubblica e ridurli all’impotenza. D’accordo, con qualche eccezione, tipo i tifosi di calcio o gli ambientalisti che sono, appunto, eccezioni. Dunque, uno si aspetta che anche nel Mar Rosso basti mandare un paio di fregate bene armate e spazzarli via, senza se e senza ma. Invece, dopo settimane di danni economici, sentiamo che finalmente decidiamo di andare, in associazione con Francia e Germania

e altri. Che non vuol dire esser lì domani, ma forse tra un mese, se non sorgono intoppi in quel piccolo-grande condominio che è Bruxelles. Per giunta, e nel frattempo, sgolandosi a dichiarare la regola d’ingaggio difensiva: se attaccati, risponderemo; non andiamo a fare la guerra. Cosa ci vai a fare, allora? Visto che le navi sono già state attaccate. Eh, ma ci sono implicazioni di politica internazionale. Tradotto: i Paesi che finanziano e armano quei disgraziati che colpiscono le navi potrebbero farci il broncio se reagissimo. Come è difficile la vita e che quartiere malfamato che è. Meglio girare al largo, attorno all’Africa magari.

Autovelox. Va da sé che non si abbattono le installazioni e l’Italia non è il Far West. Dunque, se Fleximan diventa un eroe popolare, una domanda bisogna farsela. Sulle strade si muore, anche a causa della velocità. Interrogati a freddo, molti ammetterebbero che contrastare gli eccessi salvi delle vite. A freddo e razionalmente. Ma di pancia, quando caliamo un po’ il piede sull’acceleratore e ci arriva la multa, ci sentiamo quelli che hanno potenzialmente causato un incidente? Ma no! Gli incidenti li causano gli altri, mica noi. Per dirla tutta, molti ritengono

che superare il limite non equivalga a prendere un rischio, quasi mai. Pertanto, la punizione per averlo fatto non viene collegata agli incidenti: perché io? Sì, andavo veloce, ma non facevo nulla di male; soprattutto, nessuno si è fatto male. Magari non c’è una logica, ma è quello che siamo. Tre parti di testa e due parti di pancia, mescolate. Per questo, vediamo i 3 puntini (morti, multa, io) solo che non li colleghiamo. L’autovelox non fa diminuire i morti, colpisce me quando accelero.

In conclusione, lasciando da parte sia la politica estera che la sicurezza stradale, sui due fenomeni emerge una distonia tra come li gestisce la politica, estera e sovranazionale o amministrativa e locale, e come invece li percepisce il cittadino. Quando la prima non è più complessa e ampia, ma finisce proprio dall’altra parte, allora la gente se ne allontana e torna ai pensieri semplici.

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