Il Lafayette Housing Projects è una fila di tetri caseggiati popolari che fende una delle zone più malfamate di East Baltimore. Un ghetto che succhia via i buoni pensieri e ti sbatte in faccia la dura legge della strada. Aggirarsi da queste parti senza un local è ampiamente sconsigliato, perché il presidio fisico dei luoghi è liturgia e pericolo quotidiano. Ma se ci sei nato, come Tyrone Bogues, allora il discorso diventa differente. Il playground d’asfalto con la rete metallica arrugginita e due canestri consunti è la mecca di una comunità in cerca di riscatto. Solo che se non sei mai cresciuto in altezza, potrebbe essere un problema.
Tyrone, che da queste parti è venuto al mondo nel 1965, lo capisce già da adolescente. Il metro non vuole saperne di spostarsi: oltre i centosessanta cm non si va. Lui però se ne frega. Ha altro di cui occuparsi. Il padre fa dentro e fuori dal Baltimore Detention Center, mentre la madre è costretta a smazzarsi tra tre lavori per tirare a campare. Quando non l’aiuta, il giovane Bogues scende al campetto per chiedere di giocare. Inizialmente gli ridono dietro. “Dove vuoi andare, nano?”, provano a rintuzzarlo gli acerbi gangsta del circondario. Una roba che più tardi gli ripeterà, anche se con parole diverse, qualcuno di molto più autorevole: Michael Jordan.
Perché quando lui, con sicumera glaciale reclama la palla a spicchi, lascia impresso un caveat detonante. Sarò anche basso, ma non mi fermerete. Rapidità di passaggio, visione di gioco, dinamismo esondante. E chi lo ferma? Per tutto il classico percorso dell’high school fa spellare le mani degli addetti ai lavori, anche se gli mancano 20-30 cm rispetto ai compagni.
Anche ai tempi dell’università, a Wake Forest, gli ripetono lo stesso ritornello. Ma cosa pensa di fare uno come te? Lui però fa ancora spallucce. Ruba decine di palloni a partita. La gente che lo deride serra le labbra. Tyrone diventa per tutti “Il borseggiatore”, che in inglese rimanda al verbo proprio dello scippo, “To Mug”. Tyrone Muggsy Bogues, dunque, da allora e per sempre. Ma i prodigi compiuti da ragazzino, giurano quelli che ruminano il gioco, mica possono bastare quando si comincia a fare sul serio. Il professionismo triturerebbe questo fuscello.
Lui continua a fregarsene. Nel 1987 lo prendono come dodicesima scelta al Draft Nba. Il destino è fantasioso: nella sua squadra c’è Manute Bol, un sudanese alto 231 cm. I fotografi fanno la ressa per ritrarli insieme. E lui, sul parquet, continua a smentire i detrattori. Dopo i Rhode Island Gulls e i Washington Bullets c’è un posto che è destinato a diventare l’occasione di una vita. Lo prendono gli Charlotte Hornets e quella diventerà casa sua per nove anni di fila.
Il periodo più luccicante per Muggsy, che strofina le pupille di tutta l’Nba dimostrando che la statura di un uomo è incisa nell’anima e non ha nulla a che vedere con l’altezza fisica. Sono gli anni, quelli, delle sfide infinite ai Chicago Bulls di Michael Jordan, titano del gioco in ogni senso. E del trash talking spesso patito da un MJ che, esasperato dalle marcature strette di Bogues, solleva la palla a spicchi in alto e lo scruta definendolo secondo una versione dei media smentita dallo stesso Bogues un “fucking midges”. No, dice lui molto più tardi: il senso era quello, ma l’offesa usava parole diverse. Normale amministrazione, per carità. Tyrone continua a sbattersene e lo fa andare ai matti, con quel suo dinamismo esasperato. In fondo a East Baltimore ne ha viste e sentite di peggio. Che il canestro sembra irraggiungibile solo se ti fissi la punta dei piedi per tutto il tempo.