Laurea honoris causa magistrale in Scienze storiche per aver dato «alle nuove generazioni gli strumenti per comprendere avvenimenti fondamentali del nostro passato», per la sua battaglia «contro l’indifferenza e l’oblio dinanzi agli orrori della Shoah» e «per il suo impegno contro ogni forma di antisemitismo, razzismo e intolleranza». Sarebbe bastata la lectio magistrale offerta ieri dalla senatrice a vita Liliana Segre sul palco dell’Università Statale di Milano a spiegare le ragioni del riconoscimento, non il primo da parte di un ateneo, ma ancora più significativo nel «Giorno della Memoria». Segre è stata accolta all’arrivo in Statale e all’ingresso nell’Aula Magna, accompagnata dal rettore Elio Franzini e dal ministro dell’Università Anna Maria Bernini, da standing ovation e lunghi applausi. Hanno zittito anche le manifestazioni di protesta di piccoli gruppi di antagonisti del centro sociale Cantiere, del collettivo «Cambiare Rotta» e di «Solidali con la Palestina» con striscioni e slogan pro Palestina.
Dal 7 ottobre, dall’inizio del conflitto tra Israele e Palestina scatenato dall’attentato di Hamas, è allarme antisemitismo. «Ho amiche carissime che mi dicono: In questo momento così forte di recrudescenza dell’odio contro gli ebrei stai a casa, non uscire, non farti vedere, non andare sul palco d’onore della Scala. E io chiedo perchè? Come quand’ero bambina e sentivo dire in dalla mia famiglia meglio non uscire, meglio non farsi notare. Dopo così tanti anni non posso rivivere tempi in cui lo sfondo è una sala da pranzo piccolo borghese. Quel perchè intimo, tragico, di tempi che credevo perduti, lo urlo dentro di me. Io che sono nata a Milano da genitori milanesi, sono una milanese da sempre e mi sento dire stai a casa. Perchè?».
Segre torna a lanciare il monito contro l’indifferenza, parola che ha «fortemente voluto» fosse scritta all’ingresso del Memoriale, al Binario 21 da cui partì il treno che la deportò ad Auschwitz. «Mi è difficile far parte degli ottimisti – confessa -. Tra vent’anni quando tutti i sopravvissuti saranno morti, chi si ricorderà di questa minoranza?». Indifferente è anche «il 40% degli italiani che non vota – sostiene nel dialogo con il giornalista Enrico Mentana -. Perchè così tante persone, e i giovani che mi dicono ero in gita, non sapevo per chi votare, delegano la loro democrazia a quel gruppo che vota e sceglie il futuro dell’Italia? Queste sono le cose che non faranno mai chiudere il ciclo. Bisogna fare la scelta».
Dal 7 ottobre «non c’è notte che non resti sveglia – racconta – i bambini sono il futuro e vengono uccisi dalla spirale d’odio degli adulti che non si ferma mai. Sono una donna di pace, ho sempre detestato l’odio, la violenza, la vendetta che non concepisco. Sono una nonna disperata». E vorrebbe «studiare» quei «grandissimi personaggi» che, dopo 80 anni, vanno a sfregiare la targa col suo nome lungo il sentiero che percorse da bambina da Viggiù alla Svizzera o «chi mi manda maledizioni», gli hater sui social: «É invidia? Ne dovevano morire di più?». E non ha conosciuto nella lunga vita ex Ss, figli o nipote che «siano venuto a chiedere scusa, abbia mostrato pentimento, mi abbiano detto ti ho spinto io a calci e pugni sul camion. I carnefici non hanno mai fatto mea culpa». Risponde no alla domanda se l’Italia in via ufficiale le abbia mai chiesto scusa: «Diversi, molti religiosi cattolici, a me personalmente hanno chiesto scusa, ma in modo ufficiale no. Italiani brava gente».
Sulla pergamena c’è scritto che ha raccontato «con rigore e obiettività l’Indicibile». Ma «io non ho mai detto tutto perchè non si può- dice -. Non c’è vocabolario per dire fino in fondo tutta la verità sui lager. Quella che è l’essenza più profonda degli assassini io non l’ho trovata mai e non l’ha trovata nessuno. Le parole non ci sono. Ogni minuto ti voltavi ed eri vivo per caso». Non è fatta, dice «per parlare del 27 gennaio, per chi ha passato quello che ho passato io è Memoria 365 giorni, non si dimentica mai». Franzini nel suo saluto mette al centro «le lacrime sempre ingiustificabili» dei bambini». Il direttore del Dipartimento di Studi storici Andrea Gamberini «l’importanza della memoria storica per il tempo presente».