Da Gulotta a Massaro, odissee da innocenti

Da Gulotta a Massaro, odissee da innocenti

Il peggiore degli incubi. Bruciarsi la vita in una cella senza aver fatto nulla. Vittime di errori giudiziari che inchiodano, invertono la rotta del destino, levano tutto, spesso la salute, quasi sempre la speranza. Eppure le storie simili a quello di Beniamino Zuncheddu ci sono e non sono poche.

Dal 1991 al 2022 i casi di errori giudiziari hanno coinvolto 30mila persone: 960 finite in carcere o ai domiciliari ogni anno senza essere colpevoli. Una «svista» che allo Stato è costata poco meno di un miliardo di euro di risarcimenti. Solo lo scorso anno le detenzioni ingiuste sono state 547, costate 37 milioni in risarcimenti, in base al rapporto pubblicato dall’associazione Errori giudiziari, che da 25 anni monitora il fenomeno della malagiustizia. Le persone condannate con sentenza definitiva, e assolte in seguito a un processo di revisione, sono circa 7 ogni anno (222 dal 1991 al 2022).

Le storie superano di gran lunga le trame delle serie tv: ci sono scambi di persona, perfetti innocenti utilizzati come capri espiatori, accuse formulate su prove più che traballanti o del tutto costruite. Una fanta giustizia pericolosa che, oltre a rovinare la vita di chi finisce nella rete, fa perdere fiducia a chiunque e intacca il lavoro di chi nei tribunali lavora seriamente. E va ben oltre il ribaltamento delle sentenze tra Primo grado, Corte d’Appello e Cassazione che siamo abituati a vedere. Uno dei casi più clamorosi della mala giustizia italiana è il caso di Giuseppe Gulotta, muratore. Nel 1976, quando lui ha 18 anni, viene arrestato e indotto a confessare l’omicidio di due carabinieri ad Alkamar, una piccola caserma in provincia di Trapani. Il delitto nasconde un mistero indicibile: servizi segreti e uomini dello Stato che trattano con gruppi neofascisti, traffici di armi e droga. Per far calare il silenzio serve un capro espiatorio, uno qualsiasi. Gulotta vive 22 anni in carcere da innocente e 36 anni di calvario con la giustizia. Ora ha una fondazione che porta il suo nome e ha come motto: «La giustizia è la verità in azione».

Angelo Massaro, che ora ha 51 anni, nel 1996 viene accusato dell’omicidio e dell’occultamento del cadavere di Lorenzo Fersurella, ucciso in provincia di Taranto nel 1995. Fa 21 anni di carcere, di cui 11 ingiustamente (gli altri riguardavano vicende di droga e spaccio). L’equivoco sull’omicidio nasce da un’intercettazione fraintesa: «Sto portando stu muert» dice Massaro in una telefonata alla moglie (intende dire che sta portando un carico pesante, uno slittino da neve attaccato all’auto. Chi ascolta pensa stia parlando del cadavere). Da lì l’incubo. Nella rassegna dei casi di perfetti sconosciuti che finiscono nella morsa dell’in-giustizia c’è Francesco Malasa, calabrese, che sconta una pena di 16 anni per un omicidio compiuto da un altro. C’è Melchiorre Contena, il pastore accusato del rapimento dell’imprenditore milanese Marzio Ostini: 31 anni di carcere senza essere colpevole. C’è Felice Turco, di Gela, accusato di tre delitti come depistaggio dei pentiti di mafia: dichiarato innocente dopo 10 anni in cella. E poi ci sono i casi celebri, primo fra tutti quello di Enzo Tortora, distrutto dalle accuse di pentiti di mafia e assolto, dopo un calvario giudiziario che gli costa la salute, nell’86, un anno prima di morire.

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