Tanto bravi a chiedere soldi all’occidente, quanto debolissimi nel giustificarne gli effettivi impieghi sul campo. Erano passati appena 33 giorni dalla carneficina del 7 ottobre, quando a Parigi il commissario dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, il 9 novembre scorso lanciava un allarme all’Eliseo; proprio sui denari da incassare (con urgenza) dall’Agenzia che per conto del Palazzo di Vetro dovrebbe occuparsi del soccorso e dell’occupazione dei profughi palestinesi in Medio Oriente. E che invece avrebbe impiegato (e pagato) complici di Hamas sospettati d’aver partecipato al pogrom in Israele.
«Potremmo non avere i fondi per gli stipendi del personale alla fine dell’anno…», tuonava Lazzarini a Parigi ottenendo la generosità globale, col presidente del Consiglio europeo Charles Michel che rendeva omaggio all’impegno dell’Unrwa. Guai – in quel foro voluto da Macron a chieder conto di quei fondi o metterli in dubbio: pena, esser tacciati di voler ostacolare l’invio di medicine alla Striscia. Attorno all’Unrwa, oggi cresce invece l’indignazione globale. Dopo le rivelazioni di Israele sugli infiltrati di Hamas, proprio su quegli addetti per cui Lazzarini chiedeva fondi, il bubbone è esploso.
L’Onu ha aperto un’inchiesta, come pure l’Unrwa, annunciando licenziamenti e potenziali processi. In attesa d’accertare se parte del suo staff palestinese abbia preso parte alla caccia all’ebreo nei kibbutz, larga parte dell’occidente dà segnali di «sveglia». Chiude i rubinetti. Dopo gli Usa, ieri stop ai fondi anche da Regno Unito («Siamo sconvolti»), Canada («Prendiamo sul serio questi report»). Ma Irlanda e Norvegia continuano a sostenere l’Unrwa.
Il commissario dell’Agenzia, Lazzarini, è in una posizione scomodissima, scosso da «prove» con nomi e cognomi. Temporaneo blocco degli esborsi pure da Australia, Finlandia, Italia. Sospesi i finanziamenti, annuncia il ministro degli Esteri Tajani: «Siamo impegnati nell’assistenza umanitaria alla popolazione palestinese, tutelando la sicurezza di Israele». Come dire: facciamo da soli.
Sono state le autorità israeliane a fornire all’Unrwa informazioni sul presunto coinvolgimento di almeno 12 suoi dipendenti nell’attacco del gruppo islamico del 7 ottobre. Ma già da tempo Israele denuncia (inascoltato) il ruolo ambiguo dell’Agenzia Onu. Tel Aviv invoca «azioni immediate contro la leadership» dell’Agenzia, accusata pure di perpetuare il problema dei rifugiati, anziché risolverlo. «Unrwa deve pagare», è la richiesta del ministro degli Esteri Katz, che ringrazia i Paesi che hanno già bloccato i fondi all’Agenzia nata nel ’49, che oggi impiega 13 mila persone. L’accusa è di collusione col terrore. «Molti sono affiliati di Hamas – spiega Katz – contribuiscono ad attività terroristiche e ne preservano l’autorità». Poi l’affondo, in pressing. Lavorio diplomatico per garantire che «Unrwa non farà parte del “day after”», il dopoguerra.
La bufera fa innervosire Hamas, che chiede la revoca della decisione Onu di licenziare i 12 «solo sulla base di informazioni del nemico sionista», accusando l’Agenzia d’aver tradito «il diritto di resistenza all’occupazione con ogni mezzo», allargando così i dubbi sul suo reale operato. Dalla Cisgiordania, anche Hussein Al-Skeikh, segretario generale dell’Olp, invita l’occidente a non cessare sostegni a Unrwa. Pena: «Grandi rischi politici», sostiene sibillino.
Sullo sfondo c’è la decisione della Corte dell’Aja che ha chiesto a Israele di impedire un «genocidio» nella Striscia. Mercoledì si riunirà il Consiglio di sicurezza per esaminare il dossier. E se Hamas intima ai membri Onu di non cedere ai ricatti «dell’entità nazista», Israele mostra video con sfollati palestinesi da Khan Yunis che cantano «vogliamo rovesciare Hamas». Ieri, a Tel Aviv, nuovi sit-in contro Netanyahu per il cessate il fuoco. Premier, che in tv ha mostrato un volume del Mein Kampf di Hitler: «È stato trovato a Gaza, così i nuovi nazisti educano i figli», l’ultimo j’accuse di Bibi.