Agli Uffizi meglio il verde che il grigiore di Isozaki

Agli Uffizi meglio il verde che il grigiore di Isozaki

Non scherziamo: Firenze non ha bisogno della grottesca pensilina di Isozaki, rete da materassi fuori scala per una funzione contraddittoria, e una ambizione sbagliata. Non è, come per tutti i luoghi solenni, come certamente è un museo, una entrata monumentale, ma un’uscita, in uno spazio stretto e infelice su una strada, in una città di edifici e palazzi storici. Dica la verità anche l’architetto più fanatico: di quanti musei ricordiamo l’uscita? E perché dovrebbe essere solenne e monumentale?

Sembra incredibile, ma il sindaco Dario Nardella dichiara, senza ridere: «Concordo con la posizione degli architetti fiorentini e italiani sull’uscita degli Uffizi e sul progetto di Isozaki. Non ho mai smesso di dire che questo progetto era valido e continuo a ritenere che la sua conferma sarebbe un bene per la città. Isozaki è uno dei più grandi architetti del Novecento a livello internazionale e per Firenze sarebbe un onore avere un’opera con la sua firma». Con me sembrava meno convinto, e desideroso di trovare una situazione reale, non fanatica, o appiattita su una rivendicazione prima di categoria (quanto pericolosa, pensando al Palazzo di Giustizia di Firenze) che politica: «se la decisione di cancellare quel progetto è irreversibile, si raccolga almeno la proposta degli architetti di indire un nuovo concorso internazionale: faccio appello al ministro Sangiuliano e al sottosegretario Sgarbi a considerare questa proposta… Un concorso che chiami a Firenze i più grandi architetti e progettisti del mondo, come sempre è avvenuto per le grandi opere, dal Rinascimento in poi… Firenze è capitale mondiale della cultura, non possiamo permetterci di giocare al ribasso per l’uscita del museo più importante del mondo dopo il Louvre: sarebbe un’umiliazione per la nostra città e per il patrimonio storico della nazione».

Non sembra vero che la Firenze dei monumenti non gli basti e intenda l’orrida pensilina come una risposta a Parigi. Il presidente dell’Ordine degli Architetti di Firenze Andrea Crociani aveva chiesto al ministro della Cultura «di fare chiarezza, in maniera definitiva, sia sull’esito della vicenda concorsuale, che aveva visto come vincitore l’architetto Isozaki, sia in merito all’ipotesi apparsa sulla stampa di una nuova e diversa soluzione per l’uscita degli Uffizi su piazza del Grano». Crociani voleva sapere, «nel caso di annullamento dell’esito di un concorso internazionale, pur non condividendo questa scelta ad oggi priva di giustificazioni, come mai non fosse stato ritenuto opportuno procedere con un nuovo concorso, ribadendo la centralità della procedura concorsuale in grado di assicurare la necessaria trasparenza, rispettando i principi della concorrenza e garantendo una selezione equa dei progettisti». E garantiva la disponibilità a «collaborare attivamente per garantire che la progettazione della nuova soluzione per l’uscita degli Uffizi sia svolta nel rispetto delle migliori pratiche e degli interessi culturali del nostro Paese». Ignorando naturalmente, nella consueta esaltazione delle archistar, gli architetti, vincitori di concorso, delle Soprintendenze.

L’Ordine degli Architetti difende il concorso, perché difende la categoria; Sangiuliano chiede perché non è stata realizzata in 25 anni di governi favorevoli a quel progetto, e pure impotenti, anche quando i contrasti, tolto il mio stabile dissenso, erano inesistenti. Nardella, perdendo il pelo, è rassegnato a rinunciare a Isozaki, che nel frattempo è morto, ma non perde il vizio, e chiede un altro concorso, perché vinca ancora il peggiore, e cerchi di farsi vedere il più possibile. Io credo invece che una uscita debba vedersi il meno possibile; e penso anche che giardini e aiuole siano il miglior dono per il cittadino, e la più grande risposta alla riflessione, alla sosta che l’uscita da un museo suggerisce. Sedersi all’ombra di un albero, davanti a una fontana o a uno specchio d’acqua, a meditare dopo tante emozioni. Sotto una rete per materassi non si fanno pensieri alti, in una città assolata come Firenze d’estate. Pensiamo, sullo stesso percorso, la sequenza: Bargello, chiesa di San Giovanni, Chiesa di San Firenze, palazzo Gondi, pensilina di Isozaki, museo Galileo, Arno.

Ma procediamo con ordine. E cerchiamo una risposta ai quesiti e alle inquietudini dell’Ordine degli Architetti sull’esito tradito del concorso fiorentino, insuperabile anomalia. Vincere un concorso vuol dire vincere un concorso; e Isozaki e il suo studio hanno vinto il concorso, e per questo sono stati pagati. Vincere un concorso non vuol dire obbligare il committente, che è lo Stato, a realizzare il progetto che ha vinto. I legittimi dubbi sulla inadeguatezza, se non illegalità, di una anche bellissima idea fuori scala nel centro storico di Firenze, fanno intendere che quel progetto era irrealizzabile e che neppure lo Stato può contraddire il primato della legge. Nessuna istituzione avrebbe potuto ottenere l’autorizzazione per un’opera tanto invasiva e irrispettosa del centro storico di Firenze nella sua zona più tutelata e in controcanto con la loggia degli Uffizi. Per questo la loggia è irrealizzabile, e nessun soprintendente potrebbe autorizzarla. Il concorso è un’idea; la loggia è una realtà fisica, materiale, estranea al centro storico di Firenze. C’è un limite e, come non si possono superare i 50 chilometri orari nei centri storici, non si possono realizzare pensiline estranee alla storia della città.

È semplice, ma non per l’Ordine degli Architetti, la cui categoria va difesa per le idee, non per gli orrori realizzati, tra i quali una celebre pensilina di un grande architetto, Cristiano Toraldo di Francia, che è stata addirittura abbattuta per la sua incongruità, non con le logge di Vasari, ma con la stazione di Michelucci. E mi sembrano dati inoppugnabili. Il concorso è un concorso. Il vincitore c’è stato ma, per una uscita che non deve avere carattere monumentale, la decisione del ministero è perfettamente legittima. Il committente non vuole realizzare il progetto vincitore. Il committente ha il diritto, e in questo caso il dovere, di non realizzarlo. Il committente ha una classe dirigente e architetti vincitori di concorsi che possono realizzare senza ambizioni, ma per rispondere a necessità, tra le quali quella del verde è primaria, una uscita degli Uffizi decorosa e rispettosa del centro storico, secondo quanto chiede la legge.

Per l’uscita degli Uffizi non è necessario un altro mortificante concorso, essendo gli architetti delle soprintendenze coloro che decidono la congruità e la fattibilità anche delle opere degli architetti che hanno vinto un concorso. Rispettiamo le soprintendenze e i loro funzionari. Firenze non ha bisogno di archistar. Lo Stato può scegliere, come io ho fatto con Botta per la macchina teatrale della Scala, un architetto come consulente da affiancare agli architetti della Soprintendenza. La strada che io ho seguito anche in questa occasione, coinvolgendo il sindaco, il direttore degli Uffizi, la Soprintendente per valutare la proposta di un giardino senza gesti architettonici fuori scala. Eccitanti sulla carta, inaccettabili a pochi passi dal «bel San Giovanni».

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