Tra passato e presente, Sergio Mattarella chiude le celebrazioni del Giorno della Memoria nel Salone dei Corazzieri del Quirinale. Il suo è un discorso dedicato ai «Giusti», quelle persone che «di fronte alla barbarie» della Shoah «non hanno girato la testa» e «hanno sconfitto paura e inerzia complice». Il capo dello Stato evoca il fascismo che, «in un clima di complessiva indifferenza», adottò in Italia «le ignobili leggi razziste», il «capitolo iniziale del terribile libro dello sterminio». E ricorda come «gli appartenenti alla Repubblica di Salò collaborarono alla deportazione e alle stragi degli ebrei». È per questo che oggi «non c’è torto maggiore» verso «la memoria delle vittime» che «annegare in un calderone indistinto le responsabilità» o «compiere superficiali operazioni di negazione o di riduzione delle colpe, personali o collettive». Mattarella guarda ai giorni nostri e indica il «nazionalismo predatorio», la «supremazia del partito sul diritto inviolabile di ogni persona» e il «culto della personalità e del capo» come veri e propri «virus micidiali». Cita Primo Levi, Giorgio Perlasca, Gino Bartali, Elie Wiesel e ripete che anche oggi si corre il rischio di un ritorno nel mondo «di pericolose fattispecie di antisemitismo, potenziato da social media senza controllo e senza pudore». Poi ricorda «l’indicibile e feroce aggressione del 7 ottobre» ad opera di Hamas, una «raccapricciante replica degli orrori della Shoah». E conferma il pieno sostegno italiano a Israele. Il capo dello Stato, però, non dimentica la popolazione di Gaza, perché «una reazione con così drammatiche conseguenze sui civili rischia di far sorgere nuove leve di risentimenti e odio». E chiosa: «Coloro che hanno sofferto il turpe tentativo di cancellare il proprio popolo dalla terra sanno che non si può negare a un altro popolo il diritto a uno Stato».
In prima fila c’è Giorgia Meloni, seduta tra Ignazio La Russa e Antonio Tajani (tra gli altri, sono presenti anche Guido Crosetto, Matteo Piantedosi e Giuseppe Valditara). Ascoltano e applaudono. Le celebrazioni si chiudono e, mentre il Salone dei Corrazzieri si va svuotando, c’è chi chiede a Tajani se il monito di Mattarella su «superficiali operazioni di negazione o di riduzione delle colpe» abbia qualche destinatario particolare. «Io ho preso posizione», dice il vicepremier riferendosi a quando – dopo l’anniversario di Acca Larenzia – aveva detto chiaramente che «Forza Italia è antifascista». Insomma, la cosa «non mi tocca», perché «non sono parte di quella storia». E «non lo sono neanche mio padre e mia madre». «Mio padre – aggiunge – era ufficiale dell’esercito e quando gli chiesero di scegliere andò con il Regno del Sud, con il Re». Poi una digressione sulle Europee, con Tajani che non esclude di correre. Anche se lo farà solo Meloni e non Matteo Salvini? «Sono laico, ci sono pro e contro. Ma se ti candidi puoi rafforzare il governo». Infine il ministro degli Esteri si sofferma sulla sua vista in Israele di 48 ore fa. Dove, racconta, ha incontrato i parenti degli ostaggi e ha avuto occasione di vedere i filmati delle «efferatezze di Hamas» del 7 ottobre. La più atroce è quella di «un neonato bruciato vivo nel forno» e «ucciso davanti alla madre mentre la violentano in venti». Cose impossibili solo da immaginare.