Lo scontro fra Vivendi e il vertice di Tim, sull’opportunità di cedere la rete al fondo Kkr in una combinazione che vede protagonisti anche il Tesoro italiano e la controllata Cdp, non cessa di riservare colpi di scena. Dopo la lettera con la quale il gruppo francese che fa capo alla famiglia Bollorè chiede all’Antitrust europeo di esaminare la legittimità dell’operazione in ordine alle procedure seguite per la cessione, ora circola l’indiscrezione secondo cui nelle more di un possibile negoziato con il governo italiano ci scappi anche l’acquisizione, da parte di Vivendi, del quotidiano Repubblica.
Che il giornale romano posseduto dal gruppo Gedi, passato nel 2020 sotto le insegne del gruppo Exor (famiglia Agnelli-Elkann), sia nuovamente in vendita non è un mistero. Sebbene manchi una conferma ufficiale, è voce diffusa che da settimane più emissari di John Elkann stiano contattando potenziali compratori allo scopo di collocare un cespite che fino ad oggi ha procurato a Exor più danni (non solo economici) che consensi. E Vivendi, in cerca di argomenti che ne rafforzino la capacità negoziale in una partita che finora ha visto il governo italiano respingere le sue pretese su Tim, potrebbe essere per più ragioni il destinatario potenziale del quotidiano.
Al momento non ci sarebbero scambi concreti di documenti, ma interpellato dal Giornale un portavoce del gruppo parigino, richiesto di smentire o confermare l’indiscrezione, si è limitato a definirla un «non sense». In ambienti romani la voce trova tuttavia credito crescente, soprattutto dopo la lettera inviata all’Antitrust europeo, il cui primo obiettivo è, guarda caso, accrescere la credibilità della protesta francese nella causa intentata presso il Tribunale di Milano che si discuterà ad aprile.
Tutto ciò mentre Tim si prepara ad annunciare di aver centrato per la seconda volta gli obiettivi di bilancio e a presentare (il 7 marzo) un Piano a due dimensioni: l’una che prevede una gestione stand alone e l’altra che dà per avvenuta la cessione della rete.
Quanto a Repubblica, come la gran parte dei quotidiani da anni non se la passa molto bene. Non è però facile fornire numeri precisi sulle copie vendute, da quando qualche anno fa la controllante Gedi ha detto addio al listino di Borsa rinunciando quindi ai report trimestrali.
In ogni caso, secondo i dati Ads relativi a novembre scorso, il giornale fondato da Eugenio Scalfari depurato dalla vendite fittizie avrebbe rotto quota 80mila, in caduta costante del 14-17% anno su anno. Quel che è invece certo è che la casa editrice, cui oltre a Repubblica fanno capo La Stampa, Il Secolo XIX, alcuni giornali locali e tre radio (Radio Deejay, Radio Capital e M2O), in soli cinque anni è letteralmente naufragata, facendo lievitare le perdite 2017-2022 fino a un totale di 498 milioni, perdite in parte notevole prodotte proprio da Repubblica. Per Gedi la serie negativa ha avuto inizio nel 2017 (il rosso fu di 123 milioni) ed è continuata anche dopo la cessione al gruppo a Exor, subentrata alla Cir della famiglia De Benedetti nella primavera del 2020 in cambio di circa 200 milioni di euro.
Basti dire che nel primo anno sotto la gestione Agnelli-Elkann, la perdita è stata di 166 milioni in linea con l’ultimo anno della Cir, al quale ha fatto seguito nel 2021 un’altra perdita di 50 milioni. E il trend negativo è continuato nei primi sei mesi del 2023, con una perdita di bilancio per il gruppo Gedi di ulteriori 37 milioni a fronte di ricavi per 237 milioni, in caduta rispetto al 2022. Allo stato, solo i 43,7 milioni ricavati dalla vendita di tutte le sue testate locali del Nord Est al gruppo Nem potranno consentire di chiudere l’anno con una perdita inferiore alla media.