Non è ancora una sentenza definitiva, ma rappresenta un avvertimento chiaro e senza precedenti. Fino a ieri sospettare di genocidio uno Stato ebraico sorto dagli orrori dell’Olocausto sarebbe stato a dir poco paradossale. Ieri, invece, i 17 giudici della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja presieduti dall’americana John Donoghue non si sono limitati a respingere la richiesta di archiviazione presentata da Gerusalemme, ma si sono dichiarati pienamente competenti a giudicare lo Stato ebraico. Secondo la presidente Donoghue «alcuni degli atti e delle omissioni commessi da Israele a Gaza sembrano rientrare nelle disposizioni della convenzione sul genocidio». Parole seguite dalla richiesta a Israele di consentire la «distribuzione di aiuti umanitari a Gaza» e di riferire sulle questione tra un mese, dimostrando di aver adottato «misure adeguate a prevenire e punire l’incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio». La parte più dura dell’intervento è quella in cui la presidente della Corte cita le affermazioni dei ministri israeliani in odor di colpevolezza. Quello della Difesa Yoav Gallant ricorda la presidente «ha ordinato un assedio completo a Gaza affermando di combattere contro animali umani». Del ministro degli Esteri, Israel Katz, cita, invece, il tweet con cui si vantò di aver ordinato alla popolazione di andarsene immediatamente da Gaza sottolineando di non voler concedere «una goccia d’acqua o una singola batteria finché non se ne andranno». Nei fatti però i giudici si sono ben guardati dal pretendere un’immediata cessazione delle ostilità come chiesto nell’atto d’accusa per genocidio presentato dal Sudafrica. La sentenza, tuttavia, è stata accolta come un schiaffo inaccettabile da Bibi Netanyahu e dal suo governo. «L’accusa di genocidio non è solo falsa, ma anche oltraggiosa» – tuona il premier ribadendo che la guerra è «contro i terroristi di Hamas, non contro i civili palestinesi.. anche se Hamas li usa come scudi umani». Ma le parole più dure arrivano da quei ministri a cui Bibi ha intimato il silenzio. Il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir attacca la Corte definendola «antisemita». Il ministro della Finanze Bezalel Smotrich accusa i giudici dell’Aja di offrire una narrazione «distaccata, ipocrita e falsa». Yoav Gallant, infine, ribadisce che Israele «non ha bisogno di lezioni di moralità per distinguere tra i terroristi e la popolazione civile di Gaza». Secondo il governo sudafricano, latore dell’accusa di genocidio davanti alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia, la sentenza è una «vittoria decisiva» per lo stato di diritto internazionale e una «pietra miliare» nella ricerca di giustizia per i palestinesi. Un pieno sostegno alle decisioni dei giudici arriva anche dall’Unione Europea. «Le ordinanze della Corte internazionale – dichiara il commissario agli Esteri Josep Borrell – sono vincolanti per le parti e queste devono rispettarle. L’Ue si aspetta la loro piena, immediata ed effettiva attuazione». Nei fatti, però, l’attuazione di quelle sentenze resta quanto mai ipotetica. In mancanza di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu (da cui dipende la Corte dell’Aja) la comunità internazionale non ha alcun mezzo per imporre a Israele o a qualsiasi altro nazione quanto disposto dai giudici . E nel caso di Israele il tutto è reso ancor più aleatorio dall’alleanza di ferro con un America che non mancherebbe di esercitare il diritto di veto in seno al Consiglio di Sicurezza vanificando qualsiasi ipotesi di esecuzione della sentenza.