Alberto Manguel nasce nel 1948 a Buenos Aires, vive in molti Paesi, fra cui Israele, dove il padre è ambasciatore, fino a che, a sedici anni, trova lavoro da Pygmalion, una libreria anglotedesca di Buenos Aires dove il suo compito iniziale è spolverare i libri, per ricordare la loro posizione; poi, di leggerli, per capire di che cosa si stia occupando; infine, di venderli. Ogni tanto, in quella libreria entra Jorge Luis Borges, con la madre quasi novantenne. Una sera Borges chiede al commesso se sia libero dopo la scuola: vuole che gli legga ad alta voce. E così, per due anni, il sedicenne Manguel si ritrova nel salotto dello scrittore cieco che è già una leggenda per leggergli ad alta voce Kipling, Henry James, lemmi a caso dalle enciclopedie (le amava moltissimo), Heine, Stevenson… a seconda di ciò su cui sta lavorando.
Questa esperienza straordinaria, raccontata da Manguel nel suo Con Borges (Adelphi 2004), è alla base anche di un altro suo testo celebre, Una storia della lettura, che è stato da poco pubblicato da Vita e pensiero (pagg. 376, euro 25) in una nuova edizione ampliata e aggiornata. Qui ricorda: «Quell’esperienza fu per me una sorta di felice prigionia. Ero affascinato non tanto dai testi che mi faceva scoprire (molti dei quali divennero i miei preferiti), quanto dai suoi commenti, che erano enormemente eruditi, ma in modo discreto, molto divertenti, spesso crudeli, quasi sempre indispensabili». Perché, come scriveva nel libriccino del 2004, «Borges è convinto che il lettore assuma su di sé il compito dello scrittore (…) Per lui la lettura è una forma di panteismo». Insomma, Una storia della lettura è la vita di Manguel, traduttore, critico, scrittore e saggista (è stato anche direttore della Biblioteca nazionale argentina) che da qualche anno vive a Lisbona, città alla quale ha donato la sua immensa biblioteca, e che oggi riceverà il prestigioso Premio Internazionale Nonino 2024.
Alberto Manguel, perché ha deciso di scrivere una Storia della lettura?
«Avevo scritto un breve saggio su che cosa significhi essere un lettore per il New York Times e mi sono reso conto che c’era moltissimo da dire. Così ho iniziato a fare ricerche e dieci anni dopo…»
Che cosa sono i libri per lei?
«Ho avuto un’infanzia molto solitaria, con la mia tata all’Ambasciata argentina. Quando ho scoperto la lettura, all’età di tre o quattro anni, ho scoperto anche che in realtà avevo migliaia di amici – Sinbad, Ulisse, Long John Silver, Cappuccetto Rosso – che potevano insegnarmi le cose del mondo e con i quali potevo condividere la mia vita. E questo è rimasto vero per tutto il resto della mia esistenza. Anche ora, in tarda età, provo molta gratitudine nei loro confronti, come ho raccontato nel mio libro Il sentimento di sé (Vita e pensiero)».
Scrive che il libro è «una creatura vivente»: che cosa significa?
«Un libro è un oggetto morto, fino a che un lettore lo apre: a quel punto comincia a vivere e respira attraverso tutto ciò che il lettore sta cercando. Un libro continua a mutare a ogni nostra nuova lettura: non ci immergiamo mai due volte nello stesso libro…»
Se un libro è in perenne divenire, come il fiume di Eraclito che ha appena citato, allora di che cosa ha bisogno per sopravvivere?
«Ha bisogno di noi, i lettori. E la domanda non è se i libri sopravviveranno: è se noi, come specie umana, sopravviveremo».
Qual è il potere della lettura?
«Veniamo al mondo con la forza dell’immaginazione, che ci consente di avere delle esperienze pur senza viverle concretamente. Il che significa che possiamo immaginare quello che succederà se ci addentriamo in profondità nel fondo del mare o se voliamo in alto nello spazio, senza doverlo fare davvero. I libri ci offrono queste esperienze».
Che genere di lettore è?
«Credo di essere un lettore eclettico, un onnivoro. Leggo di tutto, ovunque. Ho sempre un libro con me».
Sostiene che i lettori spesso siano «malvisti» e che questo non capiti soltanto nelle dittature, ma anche in scuole e uffici…
«Leggere può essere un’attività pericolosa, perché incoraggia il pensiero e il pensiero, a sua volta, incoraggia la ragione. I dittatori, come i bulli a scuola e i tiranni in ufficio, se ne hanno a male, perché è difficile governare una popolazione intelligente. E questo è il motivo per cui la maggior parte dei governi promuove un’educazione alla stupidità».
La sua biblioteca di quarantamila volumi è leggendaria. Come la descriverebbe?
«La mia biblioteca è il riflesso della mia mente: una sorta di Doppelgänger, un sosia. Quello che io sono è sui miei scaffali. L’ho donata alla città di Lisbona nel 2020».
Quanto sono importanti le biblioteche e i libri oggi?
«In una società di parole scritte, la biblioteca è il simbolo dell’identità del lettore, che si tratti di un singolo o di un’intera nazione. Se perdiamo le nostre biblioteche, perdiamo la nostra identità e la nostra memoria allo stesso tempo».
Oggi esiste una nuova forma di censura, che impone ciò che si possa scrivere o pensare – addirittura, ciò che si potesse scrivere e pensare in passato – in nome della «giustizia»: che ne pensa?
«Tutta la censura è un male, indipendentemente da quanto possano essere buone le intenzioni. E poi se vieti un’idea, o cerchi di eliminarla, le attribuisci prestigio: non la uccidi».
Nel libro cita Diderot: «Ma chi sarà il padrone? Lo scrittore o il lettore»? Chi è?
«All’inizio, lo scrittore. Poi, quando il libro è concluso, il lettore».
In Don Chisciotte e i suoi fantasmi (Sellerio) scrive che la letteratura è più potente dello scrittore: che cosa significa?
«Significa che quello che lo scrittore inventa, se è qualcosa di buono, nella mente del lettore diventa più vivo rispetto alla figura del creatore. Ma, ovviamente, tutto dipende da quel se è qualcosa di buono…».