Quella sinistra che ha nostalgia dell’avversario di un tempo

Quella sinistra che ha nostalgia dell'avversario di un tempo

Alla fine riesci a strappare una parola buona per la Forza Italia del Cavaliere di trent’anni fa anche a Giuseppe Provenzano, intransigente vicesegretario del Pd. All’epoca Provenzano aveva appena 12 anni, ma oggi che occupa un ruolo nei vertici all’opposizione osserva che il centro-destra di ieri era diverso dal destra-centro di oggi. «Vede – spiega su un divano del Transatlantico – i nazionalismi, di ogni credo, stanno risorgendo ovunque. Sono loro il problema. Berlusconi era un’altra cosa. In più c’è un dato da non sottovalutare: la destra che oggi è al Potere non ha la maggioranza del Paese; Berlusconi invece l’aveva».

Il buon tempo andato. In fondo anche tra gli avversari del Cav scopri una punta di nostalgia per l’Italia di trent’anni fa. Quella degli albori del bipolarismo. Da allora molto è cambiato. Di certo l’esperienza del Cav appare irripetibile anche se buona parte dell’elettorato che lo ha seguito nella sua avventura c’è ancora e ha una grande fame di rappresentanza. Il punto è che non trova un’offerta sul mercato della politica. Osserva Pierferdinando Casini che nel ’94 era con Berlusconi: «Quei mondi sono orfani. Non è nelle corde della Meloni rappresentarli. Tajani non ce la fa. Vediamo che succede alle europee». La verità è che la discesa in campo di trent’anni fa fu un unicum per intuizione politica, stile e fantasia. Racconta Alessandra Ghisleri, la «signora dei sondaggi» del Cav: «La foto di Berlusconi alle Bermuda che faceva running con dietro Letta, Confalonieri e tutti gli altri in fila indiana fu emblematica. Aveva capito che doveva costruirsi un clan, che per imporsi doveva rappresentare i mondi dell’industria, della scuola, della cultura e via dicendo. Essere trasversale, inclusivo, generoso. Piacere a tutti e non solo ad una parte. La storia che occupò la Rai è romanzata. È ora che si è imposta la logica dell’appartenenza stretta. Anche perché con Berlusconi c’erano gli avversari adesso c’è la categoria dei nemici. Per la Meloni Salvini è un nemico, Tajani non lo considera, mentre la Schlein è un trampolino».

«Trampolino» nel linguaggio dei sondaggisti significa che è «funzionale» ad un disegno. Già, oggi per vincere non devi essere «trasversale», non devi conquistare il popolo che sta nel mezzo, cioè la passione del Cav. Con il «trampolino» Schlein per la Meloni non c’è ragione. «Finché c’è la Schlein – è il ragionamento del viceministro dell’Economia, Maurizio Leo – noi abbiamo un’assicurazione. Non abbiamo a che fare chessò con Guerini, ma con una campionessa del populismo di sinistra. Così non dobbiamo essere la Forza Italia del ’94. C’è qualche similitudine ma nulla di più. Certo puntiamo a creare in Italia un partito conservatore di stile europeo, ma molto dipenderà dal risultato delle europee». Eh sì, non c’è fretta con tutte le incognite che ci sono: una situazione internazionale incandescente e il possibile ritorno di Trump. Per ora basta l’«assicurazione Schlein». «Doveva fare Barack Obama e invece è diventata una sorta di Corbyn in gonnella», si lamenta il piddino Vincenzo Amendola: «E in una contrapposizione tra populismo di destra e populismo di sinistra il primo è più credibile. Ecco perché alla Meloni non interessa diventare l’erede di Berlusconi. A lei basta tirarsi dietro i suoi».

Appunto, la politica è un sistema di vasi comunicanti, ciò che succede a destra condiziona la sinistra e viceversa. E la differenza tra oggi e trent’anni fa è che all’epoca Berlusconi e Prodi puntavano a conquistare l’elettorato di mezzo, come Reagan e Clinton negli Usa o Blair in Inghilterra. Oggi no. Ognuno punta a rappresentare solo i suoi. L’imperativo categorico è l’appartenenza non l’inclusività. Per cui c’è un pezzo di Paese che è sottorappresentato e che è in buona parte il popolo di Berlusconi di trent’anni fa. Un popolo che tiene in piedi e offre una prospettiva ancora alla Forza Italia di oggi, che si divide nelle diaspore del centro, che alimenta l’astensionismo. «Non è il ’94 – è la diagnosi del portavoce di Fi, Raffaele Nevi – ma c’è molto interesse verso il partito. Dobbiamo essere con coerenza il centro del centro-destra come dice Tajani. Non sbandare a sinistra o a destra. Riaggregare i nostri come la Moratti e tenere la barra dritta su fisco, sicurezza, famiglia. Evitando errori come il governo Monti che fu la nostra disgrazia». «Supereremo la Lega – è la previsione del coordinatore calabrese, Francesco Cannizzaro – e la Meloni non arriverà al 30%. Siamo l’unica offerta per quell’elettorato. Certo dovremmo essere più dinamici. I nostri ministri, a parte Antonio, non esistono. E non dovremmo avere paura di aprire le porte del partito a tutti».

Insomma, la sopravvivenza è assicurata, il resto si vedrà. Anche perché se la maggioranza silenziosa non avrà risposte sul fisco, sulla sicurezza, se il ceto medio continuerà ad essere trascurato ci puoi scommettere che prima o poi tornerà a far sentire la sua voce. Per un’altra discesa in campo. «È l’a, b, c della politica – scommette Giuseppe Fioroni, ex ministro dell’Ulivo, un centrista di sinistra che ha sempre guardato ai moderati di destra – solo che in politica assistiamo al declino della specie. L’encefalogramma è piatto».

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