Il governo rompe gli indugi sulla privatizzazione di Poste Italiane. Anche se sarabbe più corretto parlare di valorizzazione di una quota della partecipazione, perchè l’azienda rimarrà di fatto a controllo pubblico. Ieri ne ha parlato a margine di un evento a Milano il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, il quale ha detto che l’intenzione è «mantenere il controllo» dell’azienda e di non «scendere sotto il 35 per cento». Quel 35% non è casuale, perché è la quota che permette di mantenere il controllo dell’assemblea straordinaria ed è una fetta sufficientemente sostanziosa da scoraggiare qualsiasi tipo di scalata.
E al 35%, del resto, corrisponde la quota attualmente detenuta dalla Cassa depositi e prestiti (a sua volta controllata dal Mef) nel capitale dell’azienda guidata da Matteo Del Fante. Alla luce di questo, la cessione potrebbe anche riguardare l’intero pacchetto detenuto direttamente dal Mef (29,26%) e non solo il 13% inizialmente ventilato per mantenere la maggioranza assoluta del capitale. Quale che sia la consistenza della fetta di azioni messa in vendita, in ogni caso, ai prezzi di mercato di ieri (Poste è salita dello 0,4% a 10,3 euro per azione) il 13% vale 1,7 miliardi, mentre il 29,2% è prezzato 3,9 miliardi. Va detto che, in caso di collocamento sul mercato, solitamente agli investitori si riconosce uno sconto. Ma è altrettanto vero che dal Mef fanno sapere che su Poste la tempistica e la quota da immettere sul mercato saranno decise «senza nessuna fretta in base alle condizioni di mercato». La filosofia sarà quella già seguita per Mps.
Se l’ammontare delle azioni messe sul mercato fosse alto, tuttavia, un modo verosimile per collocarle potrebbe essere l’Offerta pubblica di vendita, con un ciclo di incontri (o roadshow) con gli investitori istituzionali eventualmente interessati a rilevare una quota della società. Quanto alle date, le indiscrezioni indicano come periodo possibile la primavera di quest’anno. Ma i tempi sono totalmente indicativi, anche perché il Tesoro ha l’obiettivo di completare 20 miliardi di privatizzazioni entro il 2026. Il tempo, quindi, non manca e il «quando vendere» sarà dettato unicamente dai tempi tecnici di allestimento dell’operazione, ma soprattutto dalle condizioni di mercato: se ci dovesse essere una correzione forte sui listini azionari, infatti, il Mef potrebbe decidere di aspettare tempi migliori.
Sul tema ieri ha parlato anche il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, che a La7 ha spiegato come il governo «ha autorizzato il Mef nei tempi e nei modi che ritiene utili». Il proposito è valorizzare al meglio «i beni degli italiani ripianando il debito pubblico».