In una Francia alle prese con la potenziale (nuova) crisi permanente, vista la protesta degli agricoltori che da giorni blocca strade e autostrade e che oggi minaccia di paralizzare Parigi in assenza di risposte dal premier Attal, il governo prova a esultare. Lo fa tirando un sospiro di sollievo per la parziale «censura» della legge immigrazione da parte del Consiglio costituzionale.
Arrivato ieri fra le polemiche della destra, il pronunciamento dei «saggi» boccia infatti le proposte neogolliste e lepeniste, entrate nella legge votata a dicembre. Tasto dolente, su cui la maggioranza presidenziale era inciampata in Aula, e infine costretta ad accogliere le volontà della destra per portare a casa la riforma del sistema di accoglienza dei migranti. Il testo era diventato una fusione a freddo. E prevedeva, tra le altre cose, una stretta sul diritto d’asilo e sulle espulsioni; ieri confermate. Il ministro dell’Interno Darmanin canta vittoria: «Convalidato l’intero testo dell’esecutivo, mai così tanti mezzi per espellere i delinquenti e così tanti requisiti per l’integrazione degli stranieri». Macron, dall’India, saluta il decisionismo del Consiglio. Ma la destra torna in trincea. I neogollisti chiedono all’Eliseo di inserire i provvedimenti silurati in un’altra legge; di «colpo di mano» parla il n.1 lepenista, Jordan Bardella. La sinistra gongola.
La maggioranza contava proprio sui «saggi», per modificare un testo che la «Macronie» da sola non era stata in grado di varare. Oltre un terzo della legge bocciata: 35 su 86 articoli. Scartati, ma non giudicati incostituzionali. Un distinguo centrale per le sorti dei provvedimenti neogollisti e lepenisti. Tra questi, la fine dello ius soli, quote annuali di ingresso determinate dal Parlamento e inasprimento dei criteri per il ricongiungimento familiare.
Per la destra, c’è in gioco la separazione dei poteri. Larga parte delle norme, censurate solo per ragioni procedurali, il che non ne pregiudica la conformità alla Costituzione. Vittoria e soddisfazione da un lato, j’accuse dall’altro: «Decisione politica», tuonano i neogollisti, invocando, se non si trova un nuovo accordo, un referendum sull’immigrazione come da tempo fa già Marine Le Pen.
Attesi invece oggi i pronunciamenti del capo del governo, Attal; altrimenti Parigi sarà circondata da camion e trattori, minacciano gli agricoltori. Ieri, in pieno caos e con l’87% dei cittadini che sostiene la protesta, si è aggiunta pure la Cgt, il sindacato più massimalista. Lotta comune. Pescatori, allevatori. Blocchi stradali in tutte le regioni. «La palla è nelle mani del governo, decida Attal, da noi determinazione totale». Ieri i «gilet verdi» hanno circondato con i loro mezzi le porte della capitale, pronti a paralizzarla. Blocchi da Bordeaux (dov’è stata presa di mira la prefettura con sangue e letame) a Tolosa, e un deposito di petrolio assediato in Bretagna, simbolo di quel carburante per cui chiedono sgravi. Una nota degli 007 spiega che più passano i giorni e più cresce il rischio di rivolte non controllabili. Finora la polizia ha lasciato fare. Ieri fermati pure i primi camion stranieri (spagnoli), accusati di concorrenza sleale sugli scaffali della grande distribuzione. Da Bruxelles anche Von der Leyen invita a ricucire lo strappo con gli agricoltori.