Il «comeback», architrave narrativo di tanti film hollywoodiani, non c’è stato. In New Hampshire, dopo la sconfitta in Iowa, Nikki Haley non ha avuto il suo «ritorno», la rivincita nella quale sperava, dopo avere investito 31 milioni di dollari in pubblicità elettorale, in uno Stato popolato da 1,4 milioni di persone. A leggere i numeri della vigilia, il risultato finale non era mai stato in discussione. Piuttosto, bisognava guardare al margine di distacco, per valutare quante possibilità avesse la campagna di Haley di rimanere a galla, senza implodere improvvisamente come quella di Ron DeSantis. Gli oltre 11 punti percentuali (54,5% – 43,3%) che la separano da Donald Trump sono un margine inferiore ai sondaggi della vigilia, ma al di sotto delle attese. Soprattutto, in uno Stato che aveva tutte le caratteristiche socio-demografiche (alta scolarizzazione, basso livello di povertà, alta percentuale di elettori indipendenti) per fare meglio. Se sconfitta è stata, Haley ha cercato di mascherarla con un discorso notturno nel quale ha rilanciato la sfida: «La corsa non è ancora finita, io sono una combattente». Parole che hanno infastidito Trump: «Ha parlato come se avesse vinto, ma ha avuto una nottataccia».
Il tycoon ha poi rincarato la dose su Fox News: «Dovrebbe mollare». La persistenza di Haley costringe Trump a continuare a investire ingenti risorse nelle primarie, laddove preferirebbe concentrarsi sul big match di novembre, quello con Joe Biden. Ed è questa una possibile strategia di Haley, che può ancora contare sul sostegno di potenti finanziatori. Mercoledì mattina, il capo stratega del super Pac (Political action commitee) che la sostiene, Mark Harris, ha spiegato ai giornalisti che Haley «ha una strada» verso la nomination e che il vero «terreno di battaglia» sarà la South Carolina, lo Stato del quale è stata due volte governatrice e nel quale i sondaggi al momento la danno perdente con 30 punti di distacco. Al di là della retorica, da parte dell’entourage di Haley c’è un calcolo. Si punta – come in parte anche in New Hampshire – sui repubblicani moderati, sugli indipendenti e sugli elettori democratici che, come ha spiegato Harris, possono scegliere di non votare nelle primarie Dem del 3 febbraio, registrandosi per quelle repubblicane del 24. I cosiddetti «Never Trumper», mai più Trump. È un azzardo, col quale Haley rischia di apparire agli occhi della base repubblicana come l’ennesimo esempio di «Rino» (Republicans in name only), l’acronimo dispregiativo usato per i repubblicani «colpevoli» di intelligenza col nemico Dem. Ma un buon risultato in South Carolina è indispensabile per arrivare fino al Super Tuesday del 5 marzo, quando si voterà in 16 Stati. Poi resta aperta la possibilità di una soluzione giudiziaria all’inarrestabile corsa di Trump: una condanna entro luglio, in uno dei quattro processi penali nei quali è coinvolto, che spinga la Convention repubblicana a rifiutargli la nomination. Ipotesi quasi impossibile, ma non esclusa. Lo stato delle cose è stato fotografato scherzosamente martedì da Scott Jennings, noto commentatore conservatore, alla serata elettorale della Cnn. «Ho tracciato per voi un complicato algoritmo per spiegare cosa sta succedendo», ha detto mostrando un foglio sul quale c’era scritto: «Gli elettori repubblicani vogliono Donald Trump».