La canzonettista («anche se voi vi credete assolti siete lo stesso coinvolti») chiede che mi vengano tolte le deleghe di sottosegretario alla Cultura. Irene Manzi (nella foto), senza preferenze e non si sa quali meriti, nella lista proporzionale automatica del partito democratico, non rappresenta nessuno, non se ne conosce un pensiero, una idea, una proposta. L’ho ascoltata in aula, e mi chiedo chi rappresenti e per chi parli. E penso alle Marche, a Macerata dove è stata vicesindaco e assessore alla cultura per un sindaco, Romano Carancini, di cui sono stato amico e sostenitore in anni difficili. Ma per la Manzi non conta quello che si è fatto, ma quello che scrivono gli autori di lettere anonime su presunte incompatibilità e giornalisti adusi alla diffamazione sistematica, come hanno fatto per il segretario del suo partito, Matteo Renzi, quando lei era vicesindaco e parlamentare la prima volta. Il suo segretario era sottoposto alla tortura mediatica che ha assalito me, dagli stessi esecutori e con le stesse infamie, ma lei non si è alzata in Parlamento per chiederne le dimissioni. E le accuse erano ben più gravi.
Allora la Manzi non leggeva il «Fatto» che ha ispirato la sua mozione servile e senza la minima verifica. E cosa dovrà pensare del presunto conflitto di interessi di quello che fu il capo del suo partito e che oggi, non per il suo lavoro politico, percepisce, grazie alle stesse conferenze e consulenze che rendono me esecrabile, un reddito di oltre tre milioni di euro? Perché non si alzata per denunciarlo in Parlamento? Parlando d’arte, raccontandola, illustrandola, per oltre cinquant’anni, in cosa io ho mancato di disciplina e di onore? Io faccio e ho fatto quello che sono. E io sono quello che so.
Bastava che non facessi niente come lei di cui nessuno ricorda una parola. Io, già sindaco nella sua provincia, a San Severino Marche, ho fatto iniziative che non sono state dimenticate. E tuttora, con grande successo, a Fermo. E ancora a Urbino e nella sua stessa Macerata dove la mostra più importante, in palazzo Buonaccorsi, la mostra su Luigi Bartolini, l’ ho voluta e inaugurata io. Un uomo è quello che ha fatto e che fa, per quello va giudicato non per le diffamazioni e i pettegolezzi che sciacalli e falsi giornalisti diffondono dettando l’agenda dei lavori di un Parlamento umiliato e offensivo per chi ha fatto mille volte più di lei per sostenere la cultura italiana. Non insulti con la sua retorica, ci mostri lei cosa ha fatto e fa, qual è il suo lavoro parlamentare, oltre che aggiungere pettegolezzi a pettegolezzi, umiliata a copiare le invenzioni degli stessi giornalisti che hanno infamato, nel suo riserbo e nel suo silenzio, il segretario del partito che l’ha nominata. In una Camera deserta e disertata questa signora ha parlato per il solo piacere sadico di ferirmi, mancando di rispetto anche a se stessa e alla capacità di giudicare con la sua testa. Non sa che le sue parole moriranno dimenticate come lei, per tornare soltanto nella sua coscienza, un giorno, come un atto vigliacco e senza onore, fondato sulla menzogna e la prepotenza, con l’arroganza degli inquisitori. Io, da oggi, non la dimenticherò, per come ha umiliato la sua intelligenza e il Parlamento, per come ha negato la sua autonomia di giudizio, illustrandomi per quello che non sono. Erano soltanto in tre ad ascoltarla. E basterà a giudicarli il pensiero di un grande politico progressista, alla Manzi forse ignoto, come Sauro Turroni: «Ho ascoltato il dibattito. Che pena il Parlamento che agisce sotto dettatura di un giornale».