Torna Weah. Proprio lui: Big George, non Timothy. Torna in Italia dopo 15 anni e irrompe sul campionato di calcio. Sabato sarà in tribuna allo Stadium, a tifare per Tim e la Juventus. il 4 febbraio tornerà addirittura a San Siro, il suo stadio, ma per guardare Inter-Juventus. Nessun gigante del nostro grande calcio degli Anni ’90 è stato così a lungo lontano dall’Italia. L’ultima volta è del 2009, per un’esibizione fra vecchi campioni di Milan e Real Madrid a favore della lotta alla SLA e di Stefano Borgonovo. Negli ultimi 6 anni, George Weah ha fatto il presidente della Repubblica liberiana. A novembre ha perso il ballottaggio per la rielezione e lunedì scorso ha passato la mano al suo successore. Ora avrà un po’ più di tempo anche per fare il papà di Timothy.
Big George: il suo primo sentimento qual è oggi?
«Sono orgoglioso di mio figlio. Lo siamo tutti, io, la mamma, i suoi fratelli. Tim non ha ancora 24 anni, gioca in una grande squadra come la Juventus e ha segnato un gol nella Coppa del Mondo. Crescerà ancora, diventerà più forte. Io stesso a 23 anni non ero forte come a 30, Tim in Italia migliorerà. E poi gioca nella Juventus, la squadra di cui ero tifoso. Non è mai stato un segreto, adoravo Platini e tifavo per lui e la Juventus. Seguo tanto calcio in tv, la Serie A e la Premier, la Champions e la Ligue 1. E ho visto tutte le partite di Tim, ora sono felice di vederlo finalmente dal vivo».
Cosa gli dice prima e dopo le partite? Glielo dà qualche consiglio quando vi sentite al telefono?
«Commentiamo i risultati, come ha giocato, ma quello che deve fare deve essere il suo allenatore a dirglielo. Io sono stato calciatore, adesso sono solo un papà molto orgoglioso».
L’Inter sembra più forte, ma la Juventus non molla.
«Chi vince è più forte, il resto sono chiacchiere. Nel calcio le cose cambiano in fretta e finora non ha vinto nessuno. Tifo Juve e tifo Tim, sarebbe bello che anche lui vincesse lo scudetto al primo anno in Italia, come me».
Nessuna nostalgia di quel Milan?
«Come potrei non averne? Ho trascorso a Milano 4 anni e mezzo molto intensi, con grandi compagni di squadra e grandi vittorie. Ho amato il Milan e i suoi tifosi. Io resto milanista, ma tifo Juve. Si può?».
Ha sentito Maldini dopo che la proprietà americana lo ha allontanato dal club?
«No, ci eravamo parlati prima, per Tim. Sembrava che fosse interessato a prenderlo dal Lille, poi non se ne è fatto nulla. Mi spiace per come è stato trattato, ma non sempre c’è rispetto per la storia e Paolo è stato la storia del Milan. E anche da dirigente credo che abbia fatto buone cose. L’ha vinto lui l’ultimo scudetto, no?».
Il caso Maignan, fra l’altro già compagno di squadra di Tim nel Lille, ha riportato di attualità il razzismo negli stadi.
«Penso che Mike, lasciando il campo, abbia fatto la cosa giusta. Quella gente non deve entrare negli stadi. Mike si è sentito umiliato. Purtroppo il razzismo è diffuso ovunque, era così anche ai miei tempi, anche in campo, non solo sulle tribune e nelle curve. È un modo per provocare, vogliono attaccare l’avversario sportivo, ma usando il razzismo ti feriscono, ti umiliano. So che hanno chiuso lo stadio di Udine per una partita, paga anche chi non ha colpe, ma penso sia giusto così. Dovrebbero essercene tante partite a porte chiuse, forse la gente capirebbe che i razzisti vanno isolati».
Tutti ricordiamo cosa è accaduto fra lei e Jorge Costa, in Porto-Milan del 1996. Gli insulti di lui e poi la sua testata nel tunnel degli spogliatoi.
«A quel tempo capitava spesso che gli avversari mi dicessero negro e mi insultassero per la mia pelle, ma lui aveva esagerato, facendomi il verso della scimmia per tutta la partita, davanti a tutti, i suoi e i miei compagni, anche all’arbitro. Nessuno mi ha tutelato, ho avuto 6 giornate di squalifica, ma rifarei quello che ho fatto, spero che lui se ne sia ricordato quando si è trovato di fronte altri giocatori neri. No, non l’ho mai più incontrato, ma non m’interessa».
Ha capito perché ha perso le elezioni? La stampa internazionale ha parlato anche di brogli che hanno favorito il suo avversario Joseph Boakai.
«Ho perso perché lui ha preso qualche voto più di me. Ho accettato la sconfitta e chiuso una grande e positiva esperienza da presidente. Ma non l’esperienza di uomo politico. Sono il leader di un grande partito e da vent’anni ormai la politica fa parte della mia vita e continuerà a essere così, anche se viaggerò un po’ di più e forse commenterò il calcio in tv, come alcuni network mi hanno proposto, non in Italia. Così come continuerò a vivere a Monrovia, come ho sempre fatto, anche quando giocavo a calcio in Europa. La Liberia è la mia terra, ho girato il mondo ma sono sempre tornato a casa».