“Droga, Rogoredo curato con fototrappole e tenacia”

"Droga, Rogoredo curato con fototrappole e tenacia"

«Dopo i blitz e l’utilizzo delle fototrappole lo spaccio a Rogoredo si è ridotto davvero tanto, anzi tantissimo».

Se dicessimo l’80 per cento sarebbe appropriato?

«Assolutamente».

Il cosiddetto «coordinamento» delle forze di polizia si esemplifica in uno dei suoi modi più efficaci senza dubbio nel progetto su cui hanno voluto insistere la Procura di Milano e il questore Giuseppe Petronzi in quella che era tristemente nota come l’area di spaccio al dettaglio «naturale» (intesa come in mezzo alla natura) più grande del nord Italia – ma c’è anche chi sostiene d’Europa – Rogoredo. Dopo il disboscamento della zona di via Sant’Arialdo, il conseguente spostamento dei pusher nell’area tra Rogoredo e San Donato Milanese, gli investigatori della sezione «criminalità diffusa» della squadra mobile, il personale del commissariato Mecenate, la squadra di polizia giudiziaria della polizia ferroviaria con la collaborazione fondamentale della Scientifica hanno «martellato», come ci racconta il dirigente della Mobile Marco Calì. E i risultati si vedono.

Gli spacciatori hanno buttato la spugna a Rogoredo?

«Premetto che si tratta di un posto dove vanno persone davvero disperate, in preda al demone della droga e che si recano lì anche perché, oltre a trovare la dose salvifica e che per loro è una sorta di calamita inarrestabile, almeno non si sentono in un luogo ostile. Un’area sporca, piena di spazzatura, dove domina il degrado. Una zona che dovrà essere assolutamente riqualificata. Forse gli spacciatori pensavano che anche la polizia si sarebbe fermata davanti a tanto sconforto. O al rischio di finire sotto un treno».

E invece?

«Non ci siamo arresi. Non potevamo lasciare Rogoredo al suo destino di area impervia e quindi ideale per lo spaccio. Con i nostri blitz li abbiamo progressivamente accerchiati, stanati togliendo loro lo spazio dove smerciare la droga. Allora i pusher si sono spostati sotto il ponte della ferrovia, appena ai margini dei binari, talvolta abbiamo persino interrotto il traffico ferroviario per riuscire a bloccarli in flagranza».

E poi avete utilizzato le fototrappole…

«Sono queste piccole telecamere di cui ci ha dotato la Scientifica – facilmente occultabili e con una loro autonomia – che abbiamo posizionato in maniera strategica nell’area di spaccio e che la immortala, togliendo ai pusher ogni possibilità di manovra: ovunque si mettano, anche nei punti più nascosti, noi li pizzichiamo. Perché grazie alle fototrappole ci muoviamo anche noi come loro, a macchia di leopardo, random».

Un’attività questa che «rinforza» anche i vostri verbali e, di conseguenza, i provvedimenti decisi dalla magistratura.

«Quando si portano delle fonti di prova così forti, ricavate da un lavoro tanto circostanziato, non emerge più l’estemporaneità dell’attività di spaccio ma piuttosto la sua ripetitività e la strutturazione, anche se embrionale».

Ma grazie alle fototrappole gli spacciatori sono messi in difficoltà anche ulteriori. Quali?

«La mattina lo spaccio non c’è più, i pusher si affacciano timidamente durante il giorno, ma comunque l’attività di vendita di eroina e hashish si è estremamente ridotta, non è più garantita una quotidianità, 24 ore su 24. Quando li blocchiamo, poi, loro sanno bene che sequestriamo anche il loro tesoretto: con l’utilizzo delle fototrappole li obblighiamo infatti a portarsi dietro le scorte (e a nascondere quantitativi di stupefacenti da cui rifornirsi sotto pietre o in anfratti) perché se dovessero fare avanti e indietro a recuperare la droga diventerebbero ancora più individuabili».

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