Dall’eleganza misurata di un quartetto d’archi alla sviolinata il passo è breve. Ce lo insegna The Economist, cui dev’essere improvvisamente scivolato il piede dalla frizione davanti all’immagine, quasi santificata, di Giorgia Meloni.
Un’epifania che d’un colpo si è portata via la «Black Lady» dalla fiammella sinistra e destrorsa di un anno fa, tanto da innalzare la premier sul piedistallo dello statista. «Giorgia Meloni has proved the doubters wrong» («Giorgia Meloni ha smentito gli scettici»), titola infatti l’ultimo editoriale del settimanale inglese. In verità, più che un titolo trattasi di autodafè: i primi cacadubbi, eufemisticamente parlando, erano stati proprio i giornalisti che fanno da megafono agli umori della City, con riedizioni rivedute e corrette dell’«Unfit» (inadeguato) con cui, all’epoca, avevano marchiato a fuoco il premier Silvio Berlusconi.
Sicchè, quello che probabilmente era nato come un bilancio critico sul primo anno di governo della destra italiana, cammin facendo è diventato un elogio circolare che parte dal dossier migratorio affrontato di petto, circumnaviga il filo-atlantismo del governo («L’Italia ha garantito un sostegno caloroso, e armi, all’Ucraina, e un appoggio piuttosto moderato a Israele») e certifica che Meloni «ha anche reso Bruxelles abbastanza felice» al punto da consentirle di incassare regolarmente le rate dei fondi post-Covid previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. Soprattutto, un «brava» per essere «ripetutamente intervenuta» nel tentativo di «limitare l’impennata dei prezzi su alcune rotte aeree e di imporre una tassa sugli extra profitti delle banche derivanti dall’inflazione».
Al tirar di somme, scrive il periodico, «fra tutti i Paesi europei, l’Italia è per una volta tra quelli che destano meno preoccupazione». Nonostante una Bce che, anche nella riunione di oggi, continuerà a mantenere dritta la barra sugli alti tassi d’interesse, penalizzando le famiglie e le imprese e intaccando la ripresa economica. Di fronte all’inatteso peana dell’Economist c’è di che stupirsi. O forse no, poiché spesso tutto è riconducibile a una questione di timing. E, guarda il caso, l’editoriale pro-Meloni finisce in edicola proprio mentre si è fatta rovente la polemica fra la premier e Repubblica, sotto l’ala della famiglia Agnelli-Elkann così come il periodico inglese (posseduto da Exor per il 43%).
Breve riepilogo della querelle: Rep accusa la presidente del Consiglio di voler «svendere» l’Italia a colpi di privatizzazioni; replica al vetriolo di Giorgia che si rifiuta di prendere «lezioni di italianità» dal «giornale di proprietà di quelli che hanno preso la Fiat per cederla ai francesi, hanno trasferito all’estero sede legale e sede fiscale, hanno messo in vendita i siti delle nostre storiche aziende italiane».
Ora, è possibile che si tratti di pura coincidenza, ma il fatto che dal ruvido scontro si sia passati in poche ore alla prosa flautata dell’Economist, così lontana dai toni barricaderi del quotidiano romano che si dice essere molto ispirato da Maurizio Landini, alimenta più di un pensiero malizioso. In considerazione anche del fatto che proprio da quelle colonne alcuni giorni fa il leader della Cgil aveva intimato al governo di sostituire le mance con la politica industriale, forse dimentico dei decenni di cassa integrazione di cui ha beneficiato il gruppo Fiat con l’avvallo dei sindacati. Parole con buona probabilità andate di traverso a John Elkann e con altrettanta probabilità rimbalzate fino a Londra. Unire i puntini per completare il disegno.