«Il primo incontro è datato novembre 1987, Milano, stadio San Siro, Italia-Portogallo, azzurri già qualificati per gli europei ’88. Gigi Riva debuttò da team manager della Nazionale in punta di piedi, secondo il suo stile inconfondibile. Da quel giorno abbiamo vissuto e attraversato trionfi e sconfitte fianco a fianco per la bellezza di 25 anni». Dopo un incipit del genere non si può far altro che aprire il registratore e lasciare aneddoti ed episodi ad Antonello Valentini, prima capo della comunicazione del club Italia, poi direttore generale della federcalcio fino a qualche anno fa, una cassaforte ricca di ricordi più intimi di Gigi Riva. «Carattere schivo e riservato ma non certamente triste come è stato qualche volta descritto. Gigi era invece una persona seria, dotato di una grande carisma che faceva sciogliere chiunque lo incrociasse, specie quegli azzurri di nuova generazione appena sbocciati a Coverciano. Alcuni di loro, parlo dei Totti e dei Del Piero, Cannavaro, Zenga non lo avevano forse mai visto giocare dal vivo ma restavano impietriti dinanzi al suo sguardo magnetico. Era anche inseguito dal suo stesso passato. C’è un episodio significativo datato 1997 a Londra: giocavamo con l’Inghilterra per la qualificazione al mondiale di Francia ’98. Durante l’intervallo, incrociammo l’Avvocato Agnelli che senza un nemmeno un preambolo, si rivolse a Riva così: Lo sa che sono ancora arrabbiato con lei che ha rifiutato la Juve?».
Riva andava fiero di quel no, pronunciato a bassa voce, rievocando la felicità dello scudetto conquistato sull’isola del suo tesoro e non ne faceva mistero. Come mal sopportava ogni invito postumo a rimettere scarpini e pantaloncini corti. Racconta ancora Valentini: «Nel ’94, eravamo negli Usa per il mondiale, e un giorno pregammo Gigi di partecipare a una partitella dentro la famosa gabbia costruita da Sacchi alla Pingry school del New Yersey: aderì a fatica, il giorno dopo zoppicava vistosamente, s’era procurato uno strappo muscolare profondo resistendo al dolore per non ritirarsi prima del tempo». In tribuna, da dirigente, soffriva più che da calciatore, per la maglia azzurra. «Prima di ogni partita, sotto controllo medico, prendeva ansiolitici per domare lo stress. A Berlino, prima dei rigori, si arrese, si alzò e sparì ai miei occhi, andò a fumare in uno stanzino ascoltando soltanto le urla dei magazzinieri». Gli si illuminavano gli occhi quando spuntavano i suoi due figli, Nicola e Mauro. «Per strappargli un sorriso, gli ripetevo: Gigi sei fortunato ad avere avuto 5 nipotine femmine, immagina che peso insopportabile sarebbe stato per un Luigi Riva nipote di Rombodituono» continua Valentini prima di giungere all’ultima telefonata. «Ne ho ritrovata traccia sul cellulare: 31 dicembre 2023. E dire che l’ho sentito, a differenza di altre volte, di buon umore, tanto da promettergli una visita a Cagliari. Ne uscii rincuorato. Adesso ho una pena sul cuore. È morto da testone, come è sempre stato, ha nicchiato dinanzi all’esigenza di procedere all’angioplastica. Solo una volta siamo riusciti a fargli cambiare idea. Appena cominciò a sentire i morsi della depressione manifestò il proposito di lasciare l’azzurro. Gli rispondemmo in coro: Gigi ma dove starai meglio se non qui dove ti vogliamo tutti un bene dell’anima? Sorrise e si accese una sigaretta».