La vittoria di Donald Trump in New Hampshire ha quasi archiviato la stagione delle primarie repubblicane e adesso i commentatori si aspettano che il tycoon riprenda a battere con più forza sulle promesse elettorali che intende realizzare in caso di un suo ritorno alla Casa Bianca. E se nel 2016 si era impegnato a costruire un “bellissimo muro” al confine con il Messico la nuova ossessione del candidato isolazionista del Gop potrebbe essere quella di costruire una “cupola di ferro” a protezione dell’intero territorio americano dagli attacchi dei nemici.
“Impedirò lo scoppio della terza guerra mondiale” ha dichiarato domenica scorsa Trump in un comizio in New Hampshire precisando di voler costruire “un Iron Dome sul nostro Paese, uno scudo missilistico all’avanguardia e sarà completamente made in Usa”. Non è la prima volta che il miliardario accenna all’idea. Lo aveva già fatto in Iowa il mese scorso facendo riferimento al sistema che protegge Israele in particolare dai razzi di Hamas e Hezbollah. “Per me è davvero molto importante. Diamo miliardi di dollari ad altri Paesi così essi possono realizzare una cupola ma noi non ne abbiamo una. Avremo la più grande cupola di sempre” ha affermato l’ex presidente famoso per l’utilizzo disinvolto dei superlativi nella sua comunicazione con il popolo Maga.
Considerata la possibilità concreta che Trump vinca a novembre le presidenziali contro Joe Biden, gli esperti militari si interrogano sull’effettiva fattibilità di quello che potrebbe essere il nuovo cavallo di battaglia di The Donald. Gli analisti sostengono che il sistema difensivo che protegge lo Stato ebraico è perfetto per le dimensioni ridotte di quel Paese e per la tipologia di minaccia che è chiamato a neutralizzare. Le batterie dell’Iron Dome israeliano intercettano razzi lanciati a non più di 43 miglia di distanza e ognuna di esse è in grado di difendere un’area di massimo 60 miglia quadrate, all’incirca l’estensione territoriale di Washington DC.
Uno scudo del genere, quindi, potrebbe avere una scarsa efficacia negli Stati Uniti la cui superficie continentale è 450 volte più estesa di quella di Israele. L’America inoltre non è nel mirino dei suoi immediati vicini ma è bensì esposta alla minaccia dei missili intercontinentali balistici di potenze come la Russia o la Cina. Come spiega a Nbc News John Erath, ex funzionario del National Security Council, questa tipologia di armi “passa al di sopra del Polo Nord e poi nello spazio prima di rientrare nell’atmosfera e puntare sul suo obiettivo. Mentre i razzi di Hamas viaggiano a centinaia di miglia all’ora, i missili intercontinentali rientrano dallo spazio ad una velocità di migliaia di miglia orarie”.
L’idea di Trump non è comunque del tutto assurda. In fondo il Pentagono a partire dagli anni Ottanta ha investito centinaia di miliardi di dollari per cercare di garantire al Paese una protezione efficace da eventuali attacchi dal cielo. Il risultato è però che al momento Washington, come altre nazioni, è in grado di abbattere missili a corto raggio ma può contare su una capacità di intercettazione ridotta rispetto a vettori esplosivi provenienti da distanze maggiori. Oltretutto i sistemi per abbatterli sono molto costosi. Si stima che per neutralizzare un missile in avvicinamento debbano essere lanciati almeno tre intercettori e quindi una potenza nemica potrebbe aggirare il problema sparando più colpi travolgendo così la difesa aerea dell’avversario. È altamente probabile che Trump sia già a conoscenza delle riserve su un Iron Dome americano ma, come appare evidente, tutto ciò non basterà ad impedirgli di fare promesse che non potrà mantenere.