Da quando gli Houthi dello Yemen hanno iniziato a inviare droni e a lanciare missili forniti dall’Iran contro le navi in transito nel Mar Rosso – dicono di voler attaccare Israele ma in pratica non hanno ancora attaccato nemmeno una nave israeliana – nessun grande Paese, nessun membro del G7 o del G20, ha subito danni economici maggiori dell’Italia.
In realtà, i danni effettivi alle navi sono stati insignificanti: le armi iraniane non sono molto avanzate e gli Houthi non sono tiratori particolarmente abili. In compenso, il danno per l’economia mondiale è già considerevole e sta diventando enorme, dato che le compagnie di navigazione, viste le crescenti spese assicurative, hanno dirottato il traffico dal Canale di Suez e dal Mediterraneo e ora preferiscono circumnavigare il Capo di Buona speranza. Questo danneggia tutti, ma l’Italia molto più di altri Paesi, perché non ha porti atlantici, e i porti italiani stanno tutti soffrendo per il calo del traffico, che si aggrava ogni giorno di più. È una semplice questione di geografia: invece di 9.911 miglia nautiche dal porto di Genova a quello di Shanghai attraverso Suez e il Mar Rosso, il giro dell’Africa è di 14.994 miglia nautiche (27.768 chilometri), con tutti i costi aggiuntivi che ciò comporta per le navi e il loro carburante. In pratica però molti scambi commerciali non vengono semplicemente dirottati: vengono del tutto persi, perché i costi aggiuntivi brucerebbero del tutto i margini di guadagno.
È quindi una fortuna che l’Italia abbia di gran lunga la marina più forte del Mediterraneo, in grado di raggiungere rapidamente il Mar Rosso attraverso Port Said e il Canale di Suez e scendere al largo delle coste dello Yemen per intercettare missili e droni Houthi, per la gioia anche degli egiziani. A differenza delle navi della US Navy e della Royal Navy che provengono da basi molto più lontane, la Marina italiana ha una grande base a Taranto a sole 940 miglia nautiche da Port Said, che facilita ogni aspetto delle operazioni navali, dalla facilità di rinforzi e avvicendamento alla consegna di munizioni aggiuntive e pezzi di ricambio.
Non ci sono dubbi nemmeno sulla forza navale dell’Italia. Delle quattro navi descritte molto modestamente come cacciatorpedinieri lanciamissili, due – la «Caio Duilio» e l’«Andrea Doria», con oltre 7.000 tonnellate di stazza – sono in realtà incrociatori, mentre le altre due, con 5.000 tonnellate di stazza, sono anch’esse grandi navi da guerra. E sebbene la loro categoria implichi che siano armate solo per affondare torpedinieri (motosiluranti), in realtà sono dotate anche di missili antiaerei sia a corto raggio sia a medio raggio, progettati per distruggere i missili antinave più avanzati e gli aerei da attacco. Potrebbero sicuramente intercettare con estrema facilità qualsiasi missile che l’Iran possa fornire agli Houthi, mentre i loro cannoni a tiro rapido da 76mm possono abbattere qualsiasi drone che si avvicini abbastanza da fare danni.
Per questa classe di navi, una missione in Mar Rosso a protezione della navigazione per il bene dell’economia italiana fornirebbe un eccellente addestramento antiaereo: invece di utilizzare bersagli aerei acquistati a costi considerevoli, potrebbero addestrarsi gratuitamente contro i missili iraniani e i droni gentilmente offerti dagli Houthi.
Ma questo sarebbe l’unico motivo per inviare navi così grandi a proteggere la navigazione del Mar Rosso, perché la Marina Militare dispone anche di otto moderne fregate missilistiche (anche questa una denominazione molto modesta per navi da guerra di 6.900 tonnellate di dislocamento), alcune delle quali hanno anche capacità antisommergibile aggiuntiva, ma il cui armamento principale è progettato per intercettare aerei e missili d’attacco con il modernissimo e super-efficace missile Aster, oltre al cannone a tiro rapido da 76mm che può facilmente distruggere qualsiasi drone a portata di tiro. Due o tre di queste navi sarebbero sufficienti per offrire una protezione molto efficace in quella parte del Mar Rosso che è a portata dei proiettili Houthi.
Per la Marina Militare si tratterebbe di una missione molto diversa da qualsiasi altra degli ultimi tempi, perché il suo scopo non sarebbe solo quello di «contribuire all’Alleanza Atlantica» con la sua presenza in bella vista, ma piuttosto di servire in modo molto diretto importanti interessi nazionali italiani. E se si decidesse di inviare sia una nave più grande come un’ammiraglia, sia tutte le fregate disponibili, l’Italia potrebbe addirittura sollevare le marine statunitensi e britanniche dai compiti di pattugliamento e assumersi la responsabilità esclusiva di proteggere la navigazione nel Mar Rosso. Ciò significherebbe che l’Italia diventerebbe immediatamente la potenza più importante per l’Egitto, che sta soffrendo molto per la perdita dei proventi del Canale di Suez, e per l’Arabia Saudita, il cui porto di Gedda è essenziale per l’economia non petrolifera del Paese.
Sono fiducioso che l’attuale dirigenza della Marina Militare abbia le capacità e il carattere per servire il Paese nel Mar Rosso, portando avanti un’operazione non solo simbolica ma sostanziale, al servizio di interessi reali sia economici sia diplomatici.
Ma per questo la Marina italiana dovrebbe far parte della rete di intelligence dell’operazione «Prosperity Guardian» con gli Stati Uniti, il Regno Unito, l’Australia, il Canada, la Danimarca – dove ha sede la gigantesca compagnia di navigazione Maersk – la Grecia, che ha ancora una vasta flotta commerciale, i Paesi Bassi, la Norvegia e Singapore. Senza questa rete di intelligence è semplicemente impossibile coordinarsi istantaneamente su minacce e obiettivi in tutta l’area interessata del Mar Rosso.
Al momento però la Marina Militare farebbe parte solo della missione «Aspis» dell’Unione Europea con Francia e Germania, le quali non hanno né la volontà né la capacità di proteggere effettivamente la navigazione, rilevando i missili e poi intercettandoli. Il fatto che il governo italiano non voglia essere associato agli attacchi aerei statunitensi contro le basi missilistiche e di droni degli Houthi è del tutto irrilevante: la condivisione dell’intelligence è questione del tutto separata dalle operazioni delle portaerei e dagli attacchi contro le basi missilistiche e di droni degli Houthi sulla terraferma. Australia, Canada, Danimarca, Grecia, Paesi Bassi, Norvegia e Singapore fanno parte della «Prosperity Guardian» senza essere coinvolti in alcun modo negli attacchi aerei statunitensi.
Se il governo italiano ha scelto «Aspis» per garantire che la Marina Militare non faccia nulla di utile nel Mar Rosso – proprio come i Paesi che mandano le loro truppe all’unità Onu in Libano UNIFIL perché non cerca mai e poi mai di far rispettare qualsiasi decisione dell’Onu contro Hezbollah -, questa decisione solleva la questione del valore della Marina Militare per il contribuente italiano. Ma ciò che mi preoccupa di più è l’effetto sul morale delle persone migliori della Marina, che sono professionalmente pronte e personalmente desiderose di fare il loro dovere.
traduzione a cura di Marco Zucchetti