Finisce con il ciglio umido, le opposizioni in piedi a cantare «siam pronti alla morte», qualche esponente di Fratelli d’Italia che con automatico riflesso patriottico si unisce al coro dell’inno nazionale, sventolio di tricolori. «Dalla bandiere rosse al tricolore è comunque un passo avanti», ironizza il meloniano Andrea De Priamo.
E il leghista Gian Marco Centinaio, che presiede a Palazzo Madama, sospende la seduta per il chiasso («Calmatevi, non stiamo dando un buon esempio»), mentre qualcuno preso dal pathos verdiano grida «viva l’Italia antifascista».
Nel frattempo la famosa Autonomia differenziata, riforma prevista dal programma di governo in quota Carroccio, è passata a vele spiegate, in prima lettura, al Senato: 110 sì, 64 no, 3 astenuti. L’unico voto in dissenso è quello di Maria Stella Gelmini: il suo partito, Azione, si astiene, lei vota a favore tra gli applausi del centrodestra: «Ho avuto responsabilità di governo su questo tema, e penso che non si possa cambiare idea a seconda che si stia in maggioranza o opposizione», spiega, sottolineando che la legge-quadro del governo Draghi è stata sostanzialmente confermata dall’attuale.
In casa leghista si esulta: «Un risultato storico, importantissimo e atteso da troppo tempo. Avevo previsto che oggi sarebbe stata una bella giornata, e così è stato», dice il ministro Roberto Calderoli, che ha pilotato in porto la riforma aprendo anche a molte correzioni chieste sia dalla maggioranza che dal centrosinistra. «La pietra miliare che segna l’accelerata finale verso un traguardo di rinascita per tutto il paese», esulta il governatore del Veneto Luca Zaia.
Il fronte delle opposizioni (con posizioni molto più tiepide da parte del Terzo Polo) ora punta a usare in campagna elettorale lo spauracchio del Sud abbandonato: «Eccoli, i patrioti. Vogliono frantumare l’Italia e l’interesse nazionale: una patria dove alcuni sono più uguali degli altri», lamenta dal Pd Peppe Provenzano. Il centrosinistra promette un referendum abrogativo «che dia ai cittadini la facoltà di bocciare questa sciagurata riforma – tuona il capogruppo rosso-verde Peppe De Cristofaro – che spacca definitivamente il paese e aumenta i divari: una devastante secessione dei diritti». L’accusa alla premier Meloni è di aver «consumato uno scambio tra il premierato voluto da Fdi e l’autonomia differenziata perseguita dalla Lega», dice il dem Andrea Giorgis. «E finora la Lega ha avuto la meglio». Elly Schlein grida all’«orrendo baratto».
Il centrodestra però ha buon gioco a ricordare che ad introdurre l’autonomia regionale, con la riforma del Titolo quinto della Costituzione, sia stata proprio la sinistra nel 2001. Argomento rinfacciato anche dagli «alleati» del pd: «Nel 2001 noi ancora non esistevamo, ma comunque eravamo contrari a quella riforma», assicura – con sprezzo del ridicolo – la grillina Castellone. «Finalmente il Pd ha cambiato rotta», chiosa De Cristofaro. «Chi teme che il paese si possa spaccare può dormire sonni tranquilli: le modifiche migliorative nostre e dell’opposizione sono state approvate», rivendica da Fi Roberto Occhiuto.
Varato il primo passaggio dell’autonomia, la maggioranza accelera sul premierato. La proposta originaria verrà drasticamente modificata: sono 7 gli emendamenti che già oggi, in Commissione al Senato, verranno sottoposti alla maggioranza. La principale: niente più «premier di riserva», in caso di crisi si va dritti alle urne. E già domattina dovrebbe essere varato il testo base.