Il copione è stato lo stesso dell’Iowa. O quasi. Donald Trump si è preso le primarie del New Hampshire e ha messo una seria ipoteca sulla nomination. Niente da fare invece per Nikki Haley, niente spallata per lei nonostante il grande impegno nel Granite State. Il voto, che ha rispettato i sondaggi della vigilia, se da un lato non ha riservato ribaltoni, dall’altro offre diversi spunti per capire cosa ci aspetta nei prossimi mesi.
La presa di Trump
La prima grande conferma è che non esiste praticamente più una distinzione tra il partito Repubblicano e il partito di Trump. Gli exit poll hanno mostrato come non solo la massa di elettori che si definisce repubblicana ha votato per lui, ma che è stato in grado di andare bene in quasi tutti i segmenti demografici. Rispetto a Nikki Haley si è imposto in tutte le fasce di età e anche tra uomini e donne. Il dato è ancora più significativo se si tiene conto di quanto sia diverso il New Hampshire rispetto all’Iowa in cui il tycoon aveva stravinto.
La fine della vecchia guardia del Gop
Il mancato exploit dell’ex governatrice del Sud Carolina sancisce anche un definitivo tramonto sulla vecchia guardia del partito Repubblicano. Haley aveva puntato tutto sul fatto di essere un’alternativa a Trump. L’obiettivo in New Hampshire era quello di creare una coalizione che tenesse insieme gli anti-Trump repubblicani con gli indipendenti. Gli exit poll le hanno dato ragione, peccato che quella massa non sia stata sufficiente a prevalere sul resto del partito.
Una grossa fetta della sua campagna è stata basata su questioni come la riduzione delle spese federali, la revisione di programmi di spesa come la previdenza sociale e l’assistenza sanitaria e una politica estera più muscolare. Tutti temi che avrebbero trovato una casa nel Gop di una decina di anni fa, ma che oggi, dopo la trasformazione trumpiana, non fanno più presa.
Il Washington Post ha scritto che ormai un’intera classe di leader repubblicani, come Bush, Cheney e Romney ha fatto il suo tempo. Stesso discorso anche per storici finanziatori delle campagne elettorali repubblicane che per anni hanno plasmato il partito. Da anni il partito di Wall Street, che detesta Trump, cerca un campione per detronizzare il tycoon ma senza successo. Negli ultimi mesi hanno versato milioni di dollari nel super Pac di Haley sperando nella spallata, ma dopo lo spoglio in New Hamphsire le speranze si sono raffreddate, forse in modo definitivo.
I dubbi su Haley
Se da un lato Haley ha promesso di continuare la campagna elettorale, dall’altro i numeri non fanno sperare in miracolose rinascite. E non si tratta solo dei voti raccolti. Secondo gli exit poll almeno tre elettori su 10 hanno espresso riserve su di lei, mentre quattro su 10 hanno ammesso di averla votata per antipatia nei confronti di Trump. Questi numeri dimostrano che Haley non è in grado di entusiasmare gli elettori, o anche solo di convincerli. L’assottigliamento della fronda anti-trump rende impossibile creare una candidatura convincente e raccogliere entusiasmi e consensi.
Per Haley la strada appare in salita. Il prossimo scoglio sarà nella sua Sud Carolina, dove è stata governatrice tra il 2011 e 2017. Ma qui i sondaggi e la composizione stessa dello Stato, non lasciano molto margine. Perché allora insistere? L’idea, azzardata, è quella di aspettare un evento esterno che metta in difficoltà Trump, magari proveniente da uno dei sui processi, o da un’eventuale inibizione della Corte Suprema. Un modo per restare in scia in vista della convention estiva del partito. Per capire quanto questa ostinazione potrà continuare bisognerà vedere quanto il patito di Wall Street intenderà buttare milioni di dollari.
Segnali d’allarme per Trump
I numeri in arrivo dal New Hampshire mostrano, però, anche qualche piccolo segnale di allarme per Donald Trump. Partiamo da un dato base: l’ex presidente ha raccolto i voti solo dal popolo conservatore, mentre invece ha fatto tantissima fatica a prendere voti tra gli indipendenti. In un’elezione generale questo segmento diventa fondamentale per la vittoria. Per lui il problema si fa più serio se si considera anche la questione giudiziaria.
Nel Granite State solo la metà di chi ha votato alle primarie lo considererebbe adatto a diventare presidente in caso di condanna, mentre una minoranza non lo voterebbe proprio in caso di verdetto sfavorevole. Ma se questi numeri possono aiutarlo durante le primarie, non è detto che in corse ravvicinare non possano produrre effetti, soprattutto negli Stati in bilico. Come ha notato Politico la strada per la vittoria di Trump passa dalla creazione di una coalizione vasta e quanto più possibile trasversale, il problema è che la questione giudiziaria rischia di creare un fronte poco coeso e fratturato.
L’altro problema di Trump è che non è più il candidato nuovo. Negli anni del suo mandato si è alienato una parte dell’elettorato centrista e moderato che sarà difficile riconquistare. Secondo un sondaggio del New York Times – Siena College allo stato attuale Joe Biden avrebbe un sostegno maggiore tra gli indipendenti di tendenze democratiche (91%) rispetto alla presa di Trump sugli indipendenti di tendenze repubblicane (86%). Se si guarda solo agli indipendenti Biden è avanti con il 50% delle preferenze contro il 38% di Trump. Di nuovo non parliamo di milioni di voti, ma di fattori che possono essere decisivi in corse ravvicinate che si giocano sull’ordine di 50 mila voti. E infatti la scommessa dell’attuale presidente è di scontrarsi di nuovo contor il tycoon facendo leva su questi sentimenti contrastanti.
Il voto in New Hampshire chiude il primo ciclo delle primarie 2024. Ora la palla passa al caotico voto in Nevada, ma tutto potrebbe essere di nuovo messo in discussione dalla decisione della Corte Suprema sull’ammissibilità del 14 emendamento contro Trump prevista ai primi di febbraio.