Via al nuovo “reddito”. Ma i fannulloni non lo chiedono: rischiano di lavorare

A dicembre crollano le ore di cassa integrazione

Dei 390 mila «orfani» del reddito di cittadinanza, sono meno di 70mila quelli che hanno accettato l’alternativa proposta loro dal governo: quella di percepire un sussidio a fronte della frequenza di corsi di formazione con la concreta possibilità di trovare un lavoro. È questo uno dei numeri più interessanti che il Giornale ha raccolto tra le elaborazioni effettuate dall’Inps nell’ambito della nascita dei nuovi strumenti di sostegno al reddito introdotti dal governo Meloni in seguito all’eliminazione del reddito di cittadinanza.

Con la scomparsa della misura bandiera dei Cinque Stelle, che ha cessato di esistere al 31 dicembre scorso, è nato l’Assegno d’inclusione (Adi) pari a 635 euro, che il 26 gennaio sarà erogato alle prime 450mila famiglie che hanno i requisiti e che lo hanno già richiesto (dal 18 dicembre). Una popolazione destinata a salire fino a quota 737mila: è questa la platea degli aventi diritto, individuata in base a criteri di fragilità (sono persone non occupabili, minori, disabili, over 60). Ma ci sono altri 250mila potenziali percettori di un reddito di sostegno (350 euro): si tratta di singoli lavoratori con Isee inferiore ai 6mila euro ma a tutti gli effetti «occupabili», che possono fare domanda per il Supporto formazione e lavoro (Sfl), ma solo a condizione di sottoscrivere il Pad (patto di attivazione digitale) e cioè di accettare corsi di formazione e offerte successive. Di fronte a questo vincolo, le adesioni al programma, attivo già dal primo settembre, non sono arrivate nemmeno a quota 70mila: segno che una buona parte di chi prendeva il Rdc, di fronte al patto proposto dal governo di centro destra ha preferito lasciar perdere, avendo forse già un qualche tipo di occupazione oggi non più compatibile con la formazione. Ma qual è l’impatto delle nuove misure rispetto al vecchio Rdc?

Se quest’ultimo era percepito da 1 milione e 39mila famiglie, il numero degli Adi è ora di 737mila, ma le due platee non sono confrontabili. In estrema sintesi, il Rdc era erogato a una popolazione indifferenziata, compresi gli occupabili: era sufficiente avere un reddito molto basso. Oggi, invece, l’Adi spetta a categorie effettivamente non occupabili, con precise fragilità. Ma a questi vanno sommati anche i 250mila interessati al Sfi ed orfani del Reddito di cittadinanza.

In realtà, del milione e rotti di italiani che incassavano il Rdc, i numeri Inps dicono che solo 650mila continueranno a ricevere il nuovo assegno. Ma il calo dei percettori (nell’ordine dei 390mila) è dovuto a tre spiegazioni ben precise. La prima, come detto, è la differenza delle due platee; la seconda è l’aumento dell’occupazione nel 2023, con oltre 500mila nuovi posti di lavoro; la terza – e più rilevante – è la scomparsa di circa 170mila ex richiedenti di Rdc che, di fronte all’obbligo della formazione, si sono dileguati. Segno che una rivisitazione delle misure di sostegno era una scelta opportuna.

Anche perché le nuove misure restano comunque molto costose per il contribuente: se il reddito di cittadinanza, nella sua versione integrale, costava 8 miliardi l’anno, lLa somma di Assegno (5,5 miliardi) e Sfl (1,4) vale comunque 6,9 miliardi. Ma, probabilmente, molto meglio distribuiti.

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