Sulla cultura la sinistra ha perso (e non lo sa)

Sulla cultura la sinistra ha perso (e non lo sa)

Quando nell’autunno 2022 il centrodestra vinse le elezioni politiche e Gennaro Sangiuliano venne nominato ministro della Cultura, gli scrissi una «lettera aperta» pubblicata su riviste e siti Internet in cui gli suggerivo sostanzialmente due cose: da un lato, di considerare tutti gli aspetti e le tendenze della «cultura di destra» che non è soltanto liberale, ma anche conservatrice, reazionaria, rivoluzionario-conservatrice, tradizionalista ecc.; dall’altro, di provvedere ad un «riequilibrio», dato che per decenni aveva spadroneggiato la sinistra nei suoi molteplici aspetti, non sempre espliciti.

Infatti, dopo il ’45, come ci si dovrebbe ricordare, la Dc si appaltò tutto l’apparato economico e il Pci quello culturale: Togliatti, gramscianamente, aveva capito tutto a lunga scadenza. E fino ad oggi siamo vissuti sotto la cappa di quella che il liberale Nicola Matteucci definì – con un termine ormai entrato nell’uso – «egemonia culturale comunista», correggendo l’iniziale definizione di «dittatura». Ora il ministro Sangiuliano sta effettuando proprio questo «riequilibrio» e bisogna levarsi tanto di cappello, suscitando le rimostranze e i piagnistei e i vittimismi dei «compagnucci della parrocchietta» (per usare una celebre frase di Alberto Sordi), che peraltro bellamente ignora, come se per lui non esistessero. Da giornalista di lungo corso ha un atteggiamento essenzialmente pratico ed efficiente. Pur avendone la possibilità e il diritto, il suo non è uno spoils system all’americana, metodo che la sinistra ha sempre messo in pratica nei decenni. Non effettua alcuna «epurazione», come aveva teorizzato a suo tempo Francesco Storace meritandosi il soprannome di Epurator, non caccia via nessuno, ma semplicemente o copre posti apicali vacanti, oppure attende che le cariche giungano a scadenza e, non essendo assolutamente obbligato a confermarle o rinnovarle in modo automatico, al posto di chi ha concluso il proprio mandato nomina personalità adeguate e competenti. Appunto «riequilibra». È, scusate l’autocitazione, quanto scrissi subito dopo quella vittoria politica del centrodestra: le persone non vanno scelte solo perché hanno una tessera in tasca o appartengono ad una specifica area culturale, ma principalmente perché sono competenti, preparate, adatte al compito per cui sono state scelte. Ma il fatto è che a sinistra non si sono ancora resi conto di aver perso la guerra, che i tempi sono cambiati, che sono in minoranza (e tutti i sondaggi di tutti gli istituti confermano che il centrodestra è ancora di gran lunga maggioritario), non si capacitano di tutto ciò per inveterata abitudine, cadono dalle nuvole, sono spaesati e, come si dice a Roma nun ce vonno sta’, e di conseguenza rosicano.

Dopo una serie di questi avvicendamenti mediaticamente indolori, è toccato ad un personaggio che l’ha presa assai male, perché da sempre abituato al presenzialismo e che ha mobilitato il famoso «soccorso rosso» per strepitare e denunciare il «sopruso». Mi riferisco a Marino Sinibaldi, già direttore di Radio Tre e curatore della rubrica di informazione libraria Fahrenheit, che molti anni fa conobbi: 70 anni, conduttore radiofonico, sedicente critico letterario, che non mi risulta iscritto all’Albo dei Giornalisti, anche se viene sempre presentato come tale. Sinibaldi aveva, beato lui, la certezza della riconferma automatica nel ruolo di Presidente del Cepell, il Centro per il libro e la lettura – carica peraltro onorifica e non stipendiata -, e si è fatto intervistare da Repubblica denunciando l’offesa subita, mentre è intervenuto in suo appoggio tutto il parterre della intellighenzia impegnata e progressista, compreso un noto fumettaro che propone di «resistere, resistere, resistere» anche se non spiega come, non solo esaltandone le competenze ma soprattutto, con un becerume inammissibile e una pacchiana caduta di stile, denigrando su molti piani chi ne ha preso il posto, vale a dire Adriano Monti-Buzzetti, non soltanto caporedattore cultura del Tg2, ma anche autore di libri, intellettuale dai molteplici interessi, uno dei quali è, pensate un po’, la letteratura fantastica (l’ultima sua opera è dedicata a Lovecraft e Tolkien, i massimi scrittori dell’Immaginario del Novecento, universalmente noti). Un particolare, questo, che ha indotto molti degli engagé intervenuti a ironie decisamente fuori luogo, considerando che ormai la letteratura fantastica (per non parlare del fumetto) è stata, come si suol dire, sdoganata sin dall’epoca di Umberto Eco. L’ignoranza di questi personaggi ha raggiunto l’apice con Ginevra Bompiani, figlia di Valentino, fondatore della omonima Casa editrice che oggi pubblica, succedendo in questo alla Rusconi, Il Signore degli Anelli e tutte le altre opere del professore di Oxford! Essere criticato per interessarsi fattivamente di letteratura fantastica è qualcosa che non ci saremmo mai aspettati e dimostra il basso livello cui si è ridotta la cultura impegnata che un tempo era apologeta della letteratura popolare, per non parlare dei fumetti, ma tutto serve per criticare il nemico dell’amico, confondendo cultura e politica. Per non parlare delle cadute di stile quando si ironizza sul doppio o triplo cognome Da vergognarsi. Ma tutto fa brodo. Come si dice, alla fine se ne dovranno fare una ragione, ma allo stesso tempo il centrodestra e soprattutto la destra, che nella coalizione è di gran lunga maggioritaria, a sua volta deve entrare nella mentalità di chi non può permettersi di fare errori clamorosi, collettivi e individuali. Insomma, ci si deve rendere conto di essere diventati un partito di governo con responsabilità non solo istituzionali, ma anche e soprattutto personali, considerato anche che la maggioranza dei media, sia cartacei che televisivi, è in mano agli avversari che ricamerebbero maliziosamente su qualunque cosa, fosse solo una parola impropria.

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