Ostaggi, blitz alla Knesset. Gelo di Bruxelles su Israele

Ostaggi, blitz alla Knesset. Gelo di Bruxelles su Israele

«Non potete stare seduti qui mentre i nostri figli muoiono», gridano esasperati i parenti di un gruppo dei circa 130 ostaggi ancora in mano a Hamas, fra urla e cartelli con cui fanno irruzione alla Knesset, il Parlamento israeliano a Gerusalemme, infuriati perché – denunciano – non è possibile proseguire l’offensiva nella Striscia di Gaza e al tempo stesso salvare la vita dei loro cari. L’esasperazione delle famiglie è al limite e probabilmente ieri lo ha superato. La rabbia cresce in Israele, nelle piazze e nelle stanze del potere contro Benjamin Netanyahu, per la sua linea di guerra intensa e lunga.

Tartassato dai parenti degli ostaggi, che rivogliono a casa i loro cari dopo 108 giorni, pressato da Stati Uniti e comunità internazionale – che chiedono la fine della strage di civili a Gaza, un piano di pace e un futuro a due Stati – scampato ieri alla prima mozione di sfiducia da inizio conflitto, Benjamin Netanyahu è sempre più un leader sotto assedio, che tenta di navigare nelle tempeste di una guerra spietata sul campo di battaglia e complessa nella sua strategia politica. Il conflitto potrebbe segnare la fine impietosa – del più longevo primo ministro israeliano della storia, ma è anche l’occasione che gli garantisce la gestione della peggiore crisi dello Stato di Israele e una via di fuga ai guai giudiziari.

Dopo l’irruzione in Parlamento, il premier ha annunciato ieri a un gruppo di familiari degli ostaggi che esiste un’iniziativa israeliana per il rilascio dei rapiti. Netanyahu ha spiegato di non potere fornire dettagli, ma ha cercato di rassicurare i familiari. In serata, dopo una giornata infiammata, la tv israeliana Kan rivela che, dopo qualche apertura di Hamas, nuove trattative sono in corso per il rilascio dei rapiti, all’interno di un’intesa basata su quattro punti: la liberazione dei rapiti (a cominciare dai civili), una tregua significativa, il ritiro tattico delle forze israeliane da diverse aree della Striscia e la liberazione di detenuti palestinesi. Secondo il sito Axios, in cambio di tutti gli ostaggi, Israele avrebbe proposto due mesi di tregua.

Il clima resta però tesissimo. Al Consiglio europeo di Bruxelles, il gelo è calato dopo che il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz avrebbe rilanciato l’idea di costruire un’isola artificiale davanti a Gaza, da utilizzare come porto, ma anche per ospitare i palestinesi della Striscia. Il ministero ha poi smentito la ricostruzione ma stizzita è arrivata subito la replica del capo della diplomazia dell’Anp: «Chi vuole, ci può andare. Noi, proprietari della Palestina, resisteremo per restarci», ha detto Riyad al-Maliki. Intanto Josep Borrell, ha ribadito la linea della maggioranza europea: una soluzione a due Stati per mettere fine al conflitto. Ma «la priorità è lo stop alle bombe e più aiuti a Gaza».

Gli Stati Uniti continuano a lavorare con Egitto e Qatar perché si arrivi a un piano di pace che contempli il rilascio degli ostaggi e la fine della guerra entro tre mesi. «Bibi» continua a ripetere di non volere una «resa» a Hamas e uno Stato palestinese, ritenuto invece da Washington «nell’interesse di Israele». L’opposizione incalza Netanyahu e il centrista Lapid lo invita a fissare una data per nuove elezioni. Soluzione «impraticabile» ora, spiega l’ex ministro della Difesa, Avigdor Lieberman, leader del partito Yisrael Beitenu. Alla fine Netanyahu supera la mozione di sfiducia presentata dal Partito laburista, che incassa appena 18 voti su 120. La Giordania, intanto, esorta Netanyahu alla svolta: «Accetti la soluzione a due Stati o condannerà la regione a nuove guerre».

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