L’81 % dei cittadini della Ue è a favore di una politica di Difesa e sicurezza comune che preveda una forza armata europea. Se ne parla da almeno 25 anni, ma il progetto è sempre rimasto sulla carta. Vincenzo Camporini, ex capo di stato maggiore della Difesa, partecipò da generale di fresca nomina, nel 1999, alla stesura, assieme ai parigrado dei più importanti paesi Ue, dell’ Helsinki Headline Goal, che gettava le basi della Difesa europea. «Avevamo previsto una forza congiunta di 60mila uomini di unità terrestri da mobilitare in 60 giorni e con un’autonomia di sei mesi – spiega al Giornale – Dovevano essere in grado di operare fino a 4mila chilometri di distanza da Bruxelles con il necessario supporto dell’Aeronautica e della Marina». I Paesi offrirono più uomini del necessario, ma il progetto non ha mai visto la luce. «Rimango un fautore della Difesa europea, ma può avvenire solo nel quadro di un’integrazione che preveda l’unificazione delle politiche estere della Ue. Se non esiste una visione comune dell’uso della forza è inutile avere delle forze armate» sottolinea Camporini.
La chimera dell’esercito europeo ha avuto un revival nel 2007 con i Battlegroups, gruppi tattici europei, che sulla carta dovrebbero essere 18 composti su base di battaglione da 1.500 uomini. In grado di mobilitarsi in dieci giorni e indicati da una nazione Ue, ma con supporto di altri Paesi europei. In realtà non sono mai stati impiegati sul campo. Non sono solo le crisi che ci assediano a rendere necessario uno strumento militare europeo. Il programma elettorale di Donald Trump prevede di «finire il processo iniziato sotto la mia amministrazione di riesaminare lo scopo e la missione della Nato». L’ex generale dell’Aeronautica, Leonardo Tricarico, presidente della Fondazione Icsa, è convinto che «negli ultimi 20 anni tutti si sono nascosti dietro l’alibi della mancanza di una politica estera europea. Abbiamo già perso troppo tempo: gli Stati maggiori dei singoli Paesi dovrebbero sviluppare l’impiego comune della forza». L’Italia che parteciperà alla nuova missione europea fra il Mar Rosso e lo stretto di Hormuz è già presente in sei teatri di intervento della Ue dalla Somalia al Kosovo fino alla Bosnia, dove all’inizio l’operazione Althea schierava 6mila uomini. Però si tratta di un contributo nazionale a operazioni con cappello Ue, coordinate da una Stato maggiore a Bruxelles, ma non di una vera forza militare europea. Un passetto in avanti è la Cooperazione strutturata permanente (Pesco), avviata nel 2017, opera su 47 progetti di collaborazione che vanno da un comando medico europeo, al sistema di sorveglianza marittima, assistenza reciproca nella cybersicurezza, squadre di risposta rapida e una scuola di intelligence Ue. Il veterano dei paracadustisti, Marco Bertolini, rimane convinto che «le forze armate europee sono un’utopia a causa di interessi nazionali e politiche estere diverse».
Un altro nodo da sciogliere è la babele di armamenti nella Ue. «L’abbiamo visto in Ucraina: un fritto misto di sistemi d’arma. Non si può fare. Il primo passo deve essere la standardizzazione ovvero gli stessi armamenti e equipaggiamenti. Altrimenti non è sostenibile una vera Difesa europea» spiega al Giornale, Alessandro Politi, direttore della Nato Defense College Foundation. Josep Borrell, numero uno della diplomazia e sicurezza europea, ha lanciato la Bussola strategica, che dovrebbe aprire a un sistema coordinato per la difesa degli stati Ue. La prima brigata europea di 5mila soldati è prevista nel 2025. Camporini, che aveva stilato le linee guida per 60mila uomini, sorride: «Borrell fa gran vanto di un corpo di spedizione che per numero è simile a quello dei vigili urbani a Roma».