Daniele Mencarelli racconta il coraggio degli amanti

Daniele Mencarelli racconta il coraggio degli amanti

Due cose mi dispongono favorevolmente verso questo libro di Daniele Mencarelli (Degli amanti non degli eroi, Mondadori, pagg.191, euro 18). La prima è il titolo, esplicito, dichiarativo, che contiene due parole forti , e si staglia sulla marea di titoli che ancora preferiscono elusività e astrattezza.

La seconda è il fatto che Daniele Mencarelli, dopo il grande successo da narratore, avrebbe potuto mettere in secondo piano la sua attività di poeta, come è capitato a non pochi. Invece Mencarelli pubblica con Degli amanti non degli eroi un libro che si colloca a pieno diritto tra i libri di poesia importanti di questi anni. La prima parte, Una storia d’amore, scandita con tecnica narrativa da date che vanno dall’11 ottobre 1992 al 1 dicembre 1993, e con un sorprendente epilogo il 1 dicembre 2023, ha al centro due figure di adolescenti, Gabriele ed Anna, ed è una storia di disperazione e di redenzione, cupa, senza sconti sentimentali. Sullo sfondo una Roma di periferia, vite borderline («di lavoro vorrei fare il maledetto»), tra techno music ed ecstasy, in gergo anni Novanta «colombina», baldorie che possono diventare un mestiere, un bel commercio di droga e poi una bella vita di biglietti da centomila leggeri, non come quelli frutto di lavoro stremante nelle mani del padre. Anna compare insipida, «sputata» al suo nome qualunque, ma poi man mano assurge al ruolo di presenza salvifica. La vediamo volare su una giostra la Luna Park così in alto da impaurire il giostraio, vediamo i suoi primi baci, la sua reticenza dolce e d’altri tempi («non è il momento»), e al cinema con Gabriele , in una sala dove si «spernacchiano» gli eroi buoni , come suggerisce sempre un certo maledettismo straccione, e nascono risse per niente. In questo inferno di miseria e di dolore, Anna diventa una figura che illumina: «tutto grazie a te si fa bellezza». Gabriele sa che amore è una parola difficile da dire, che si deve usare con parsimonia.

Mencarelli scava nel linguaggio, e scava nell’anima, con una cupa vena che trova il suo riscatto in una sottintesa, drammatica religiosità. E scopre il senso profondo del dire «grazie», e della preghiera: «Io prego la tua bellezza/il tuo viso è la mia chiesa», «amare e ringraziare, questo mi basta». Nessuna spregiudicatezza mondana, nessun erotismo gioioso in questo autore che è ferocemente abbarbicato a se stesso, alla propria idea di dolore e di riscatto. La seconda parte del libro, intitolata Hotel Lux, presenta un registro diverso. Metaforico, forse metafisico.

In un albergo a cinque stelle, con testi che ne descrivono l’atmosfera benissimo, come «Il turno di notte è l’affare della vita», un concierge dalla pronuncia perfetta e un io narrante , il vero spettatore, testimone che vede lo sfacelo tutt’intorno, e tre figuri dai nomi mitici ma dalla sostanza piuttosto allegorica, Nettuno, Mercurio e Marte, giocano una mortale partita a poker, sanguinosa e autodistruttiva. L’intento dichiarato dall’autore è quello di ridicolizzare l’eroismo nella sua accezione militaresca e guerriera, avanzando l’utopia di un mondo dove si festeggi l’eroismo del perdono e della compassione. Una trentina d’anni fa, esaltando il viaggio e l’eros , io scrissi in Terre del mito che il vero eroe non è chi vince una guerra, ma chi salva una specie vegetale o animale su una terra avvelenata. Sembrò paganesimo. Ma era una forma di pietà nuova, connaturata alla poesia, da vivere certo come resistenza, ma anche come contrattacco, eroico, questo sì, alla barbarie del mondo.

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