La vicenda del pandoro Balocco sta assumendo contorni più ampi, con l’iscrizione nel registro degli indagati per Chiara Ferragni per il caso delle uova di Pasqua e delle bambole Trudi. L’accusa è sempre la stessa, truffa aggravata da minorata difesa, e quello che secondo alcuni esperti viene ormai definito come “metodo Ferragni” verrà ora setacciato a fondo dagli inquirenti. Sicuramente perché consigliata così dal suo team legale e di comunicazione, l’influencer sta pubblicando come se nulla stia accadendo attorno a lei, fingendo che tutto vada bene e che non ci siano problemi. Una strategia social per trasmettere ai follower tranquillità e cercare di ritrovare quel rapporto fiduciario perduto.
I suoi avvocati si dicono sicuri che si risolverà tutto in una bolla di sapone e che, “una volta che il procuratore generale presso la Cassazione avrà individuato il pubblico ministero territorialmente competente, chiariremo al designato magistrato ogni aspetto delle tre vicende“. I legali che la difendono fin dall’inizio di questo caso sono certi “della assoluta innocenza di Chiara e che detta innocenza emergerà dalle indagini che verranno condotte” e rivolgendosi alla stampa, concludono, “auspichiamo che il clima mediatico che ha caratterizzato sino ad oggi la vicenda si rassereni“. Ma cosa rischia ora l’influencer? In realtà, poco o nulla, come spiega l’avvocato penalista Marco Gabriele, già presidente di AIGA Roma, a Il Messaggero: “Appare obiettivamente dubbia la rilevanza penale delle condotte che le contestano (se non altro in punto di elemento soggettivo). Che peraltro devono essere oggetto di prova da parte della Procura. Rimane, però, un caso unico al mondo“.
Secondo l’avvocato, infatti, questo sarebbe “il primo caso di truffa consapevole pubblicizzata” e ciò, alla sua lettura, appare “Illogico“. Dal suo punto di vista, e in base all’esperienza maturata, “in sede processuale potrebbe affiorare un errore, o l’imperizia, o la negligenza in alcuni passaggi della vicenda, ma non una volontaria condotta ingannatoria“. Quest’ultima, infatti, appare complessa da dimostrare per il pm. Ma arrivati a questo punto, vista l’esposizione mediatica della protagonista, il danno reputazionale prescinde dalla sentenza di un giudice, che non arriverà che tra qualche anno. Tutto al momento ruota attorno all’aggravante della minorata difesa, che ha permesso alle procure di procedere d’ufficio e senza querele. Ma se questa venisse a mancare, tutta la questione assumerebbe contorni molto diversi. “In tale caso, parleremmo di una montagna che partorisce un topolino“, conclude l’avvocato.