La nomina del regista Luca De Fusco a direttore del Teatro di Roma è un caso. La sinistra accusa la destra di occupazione della cultura. Il sindaco Gualtieri minaccia di impugnare il mandato. Il Pd vuole presentare un’interrogazione parlamentare. I soliti cento autori& attori (compagni che non sbagliano mai: Matteo Garrone, Elio Germano, Lino Guanciale… le Rohrwacher no, strano) hanno firmato una lettera di protesta. E Christian Raimo, uno che non è capace di scrivere un tweet senza usare la parola fascismo, ha convocato un presidio davanti al teatro Argentina. Tutta gente che a forza di discutere così tanto di pluralismo culturale non trova poi il tempo di praticarlo. E così la nomina (che arriva dopo anni di caos e commissariamenti…) è diventata «un attacco alla democrazia», «un atto di forza», «un’epurazione». Strano. Il più infervorato contro il «famigliarismo» della destra è lo stesso presidente del Teatro di Roma (scelto all’epoca dalla sinistra), ossia Francesco Siciliano, già responsabile della Cultura del Pd, e figlio di Enzo, rais della più bella colonizzazione culturale del Paese da parte della Sinistra (post)comunista. Comunque. Non sappiamo ora cosa succederà: se la nomina sarà confermata o annullata. Sappiamo però come è andata: i voti del Cda che sceglie il direttore sono cinque. La maggioranza è tre. La destra ha la maggioranza e ha scelto il nome che reputa migliore. Sì, è vero: forse non ha cercato un confronto, forse i modi sono stati poco formali. Ma a parti invertite nemmeno la sinistra avrebbe accolto le istanze della destra. Quando nel 2019 Giorgio Barberio Corsetti fu nominato direttore nello stesso teatro, a sceglierlo fu Dario Franceschini, un ministro che smistava tra i suoi uomini (e donne) tutte le poltrone di festival, teatri, musei, enti culturali. Alla faccia degli «atti di squadrismo istituzionale». E passando da Roma a Milano: ma vi ricordate cosa accadde nel 2020 al Piccolo Teatro quando la sinistra milanese volle a tutti i costi – ottenendolo – il proprio direttore? E poi. Ma se adesso la sinistra sostiene che la destra pretende tutte le poltrone – in Rai, nei musei, nei teatri, nel Centro per il libro… – significa che prima tutte quelle poltrone erano di qualcun altro. Di chi? Ah, certo. Non è questione di poltrone. «C’entra il curriculum di chi le occupa!». Curioso. Prima mettevano in cattedra i «loro», adesso vogliono che ci vadano i «migliori». È così: quelli che fino a ieri hanno fatto del centralismo intellettuale un dogma ora soffrono di scomposti orgasmi pluralisti. La verità è che la sinistra non voleva uno bravo, o super partes. Ne voleva uno del Pd. Partito, però, che non ha vinto le elezioni. Ed ecco spiegata l’alata protesta dei cani da guardia dell’intellighenzia antifascista e democratica. La rabbia migliore è sempre quella alimentata dalle peggiori ideologie.