Sono i giorni dell’odio antisemita. L’odio omicida che si è scatenato il 7 ottobre nelle atrocità commesse da Hamas, ma pure l’odio ideologico di chi, in Occidente, criminalizza Israele e le comunità ebraiche della diaspora.
Alla vigilia della Giornata della memoria gli ebrei, anche italiani, avvertono sentimenti di ostilità che credevano sopiti, ma anche attestati di amicizia.
Rabbino capo Riccardo Di Segni. È di sabato la notizia di un vero e proprio assalto anti-israeliano o anti-ebraico a Vicenza, l’ultimo di una serie di segnali inquietanti. Come commenta?
«Direi che è l’esempio eclatante di un doppio standard. Nel mondo di oggi in tanti luoghi dalla Siria allo Yemen all’Ucraina siamo di fronte a vicende drammatiche, con centinaia di migliaia di vittime, a tra le tante guerre che vediamo, l’unico Stato messo sotto accusa è Israele, l’unico contro il quale ci si mobilita e si manifesta. A Vicenza si rivela anche un aspetto violento, e non si può ignorare che nasce da ambienti in cui serpeggia la simpatia per movimenti sovversivi».
È un passaggio storico doloroso e delicato. Come lo vive il mondo ebraico?
«Quel che è successo il 7 ottobre è il frutto di una brutalità, di un odio, di una perfidia che ci riporta indietro di decenni o secoli. Si affacciano sentimenti e comportamenti che credevamo sepolti. E un conto è tenerne la memoria, un conto è vederla ripetere. Poi non si pensi che la sofferenza che altri vivono ci passi addosso senza lasciare traccia».
Si riferisce alle sofferenze del popolo palestinese?
«Certo, ovviamente non ci lascia indifferenti».
Ha parlato della memoria, e la Giornata della memoria si avvicina. Ricordare è un dovere, ma non si può ricordare senza tenere presente l’odio di oggi, rimuovendo il 7 ottobre.
«C’è un grande dibattito nella comunità ebraica, sulla partecipazione o meno alla Giornata della memoria, anche perché vediamo quello che accade per esempio all’Aia, dove si sono ribaltate le prospettive. La memoria è basata sui testimoni, e per ragioni biologiche i testimoni diretti della Shoah sono sempre meno. E cosa accade? Che dal banco dei testimoni siamo passati al banco degli accusati, con un’operazione programmata e finalizzata a deresponsabilizzare i colpevoli e mescolare le carte, facendo saltare il senso della memoria».
Avverte solitudine?
«Avverto ostilità, pochi giorni dopo il 7 ottobre sono stato verbalmente aggredito da una persona che mi ha apostrofato addirittura come massacratore di bambini. Però non avverto un senso di solitudine. Accanto a persone molto schierate appartenenti a mondi di opposizione radicale ci sono molti altri che hanno manifestato solidarietà e simpatia».
Il popolo ebraico troverà la forza di resistere anche a questa ennesima prova?
«Ma non è semplice. Condiziona la vita delle persone. È un peso non facile».
Pochi giorni fa lei ha denunciato apertamente i passi indietro nel dialogo ebraico-cristiano. Si sono aperte delle crepe.
«Il dialogo è sempre stato un percorso a ostacoli, con momenti di difficoltà e prove da superare. Il mondo cristiano mi pare diviso. Il momento per farla era quello giusto, credo. Mi auguro che la mia denuncia solleciti un dibattito. E che queste distanze possano essere superate, ma ci vorrà del tempo».
Il mondo ebraico è deluso dalle posizioni del Vaticano?
«La comunità ebraica, e non solo, è molto delusa sì, lo vedo anche dai commenti di questi giorni dopo il mio intervento. C’è molta delusione. Spero che la si comprenda e che la crisi si risolva».
Il governo italiano ha mostrato amicizia per Israele e attenzione al tema dell’antisemitismo.
«Sì, abbiamo avuto manifestazioni di solidarietà e dichiarazioni importanti, ma anche comportamenti concreti, sul campo, come l’aumento dell’attenzione e della sicurezza per i nostro luoghi. Questa è un’occasione per ringraziare l’impegno delle forze dell’ordine».
Non tutto il mondo politico però ha risposto con la stessa solidarietà. Alcuni esponenti del mondo ebraico parlano dei passi indietro o addirittura un tradimento della sinistra.
«A sinistra, come a destra, c’è una galassia, ci sono posizioni diverse, con persone (a sinistra una minoranza, credo) decisamente favorevoli a Israele, e altre ostili. Da una parte e dall’altra possono esserci pulsioni e simpatie per pensieri totalitari, perfino per l’Iran, e questi sono mali e deviazioni che gli stessi politici dovrebbero sconfiggere».
Nutre speranza per una pacifica soluzione di questa crisi e di questa tormentata storia? O prevale la preoccupazione?
«Ovviamente ho ancora speranza, ma in questo momento prevale la preoccupazione perché non vedo ancora la luce in fondo al tunnel».