“Maestro rivoluzionario”. Così i nuovi “figli di Lenin”, o forse è meglio chiamarli “nipoti”, vista la distanza anagrafica hanno celebrato i 100 anni della morte del dittatore sanguinario. I collettivi rossi di “Osa” e “Cambiare Rotta“, composti prevalentemente da giovanissimi della generazione Z, sono costole non ufficiali di “Potere al popolo”, uno degli ultimi partiti comunisti rimasti in Italia. Coi pugni alzati, oggi i “figli di Lenin” invocano la “teoria rivoluzionaria” e si spellano le mani invocando il raggiungimento della meta di una “Rottura rivoluzionaria“. Quei pugni chiusi sono passati nel silenzio, a differenza del braccio teso di Acca Larentia, nonostante la risoluzione europea abbia equiparato comunismo e nazismo, ma nemmeno l’idea di rifarsi alle sue opere per ricavare un “metodo teorico e pratico con il quale guidare un’avanguardia rivoluzionaria” sembra spettinare i soloni della politica di sinistra.
I cattivi insegnanti dei ragazzetti di “Osa” sono gli adulti di “Potere al popolo”, che con toni meno rivoluzionari e più rispettosi dei dettami democratici parlano di Lenin come di un uomo da cui trarre insegnamento ma quasi santificano quello definiscono “primo esperimento duraturo di organizzazione socialista della società“. I milioni di morti causati dall’avvento del “Leninismo” non hanno nessun peso, non sono utili a questa narrazione, quasi come se fossero uno spiacevole inconveniente. Ma così non è stato e la dittatura leninista viene ricordata tra le più sanguinarie e cruente del Novecento.
Ma chi sono questi giovanissimi, spesso nemmeno maggiorenni o poco più che 18enne, che vorrebbero un ritorno dello stalinismo e della rivoluzione comunista? I due collettivi, “Osa” e “Cambiare rotta” sono gli artefici di gran parte delle occupazioni di scuole superiori e università. Sono gruppi eterogestiti che si sono capillarizzati in tutta Italia, che guidano le rivolte degli studenti in nome di ideali inesistenti. L’unico obiettivo è quello di bloccare le lezioni, impedire qualunque espressione pubblica che dissenta con i loro principi. Ci sono loro dietro le manifestazioni pro-Palestina, come quella dello scorso novembre che ha visto un videomaker colpito da una bomba carta. Ci sono loro dietro gli assalti universitari ai convegni organizzati da esponenti della destra. E ci sono ancora loro dietro le occupazioni pro-Cospito dello scorso anno. Sono tra i No-Tav e sono ovunque ci sia da “far casino”.
Questi gruppi, che hanno evidentemente strutture più grandi e organizzate alle spalle, sono i registi di gran parte delle azioni clamorose in scuole e università. Ma sono anche gli animatori dei cortei in piazza, come testimoniano alcuni esponenti della Polizia di Stato. “Questi giovani, purtroppo sono lontani dal presente, intrappolati in un passato che fortuna loro non hanno vissuto“, ci spiega Pasquale Griesi, Coordinatore nazionale reparti mobili del sindacato FSP – Polizia di Stato, che sottolinea come parlino e invochino un periodo che non conoscono, durante il quale la polizia politica “Ceka” utilizzava strumenti di tortura e uccisione disumani per i dissidenti mentre, oggi, “vengono anche fatti passare per vittime dopo aver letteralmente attaccato e attentato alla vita (Vicenza per ultimo) della nostra polizia“. Per Griesi, “difendere Lenin oggi come ieri è esibire una ignoranza abissale“. Un altro esponente delle forze dell’ordine ci ha raccontato di sassaiole contro i reparti mobili da parte di questi soggetti, di aggressioni e attacchi violenti subiti mentre gli agenti erano intenti a compiere il loro lavoro, cercando di mantenere la calma nei cortei da loro animati. Ecco chi sono, oggi, i “figli di Lenin”.