Filosofia degli spostamenti è di arrivare prima, non dopo, e chi usa la macchina in città lo fa per necessità, non per piacere. C’è invece un partito anti-auto che ignora, o finge di ignorare, la realtà dei cittadini automobilisti e i loro bisogni.
Le nostre città sono attraversate da una popolazione che si muove per generare ricchezza, sia che girino per lavoro, per consumare o per tenere insieme le varie attività, dalla scuola alla palestra, dalla spesa alla cena da preparare. A fine giornata si dichiarano stressati, eppure non saprebbero stare fermi. È la vita che scorre. Alcuni sono privilegiati e possono farlo a piedi o con la bici, perché abitano vicino al lavoro, alle scuole e alle strutture del tempo libero. Quando la distanza è di chilometri, tanti usano il trasporto collettivo, chi perché più veloce dall’auto e chi, molti di più, perché non possono permettersi il costo dell’auto, del parcheggio e dei consumi. Questi sono meno contenti dei primi. Poi ci sono quelli che vediamo dentro le macchine. Non sono nemici, come si vuol far credere, ma cittadini come gli altri. Quando scendono dall’auto manco li riconosci e essi stessi tendono a dimenticare di essere automobilisti, proprio perché l’hanno presa per necessità, non per piacere.
Sia come sia, ogni volta che si spostano tutti hanno un obiettivo: arrivare nel minor tempo possibile. Quello impiegato a spostarsi in città è tempo sprecato e meno male che adesso ci sono i cellulari, così almeno qualche telefonata la puoi sbrigare. Fatto sta che c’è traffico e si va piano, troppo piano. Le amministrazioni le hanno provate tutte per fluidificare e aumentare la velocità media. Finché non sono arrivati i paladini della «mobilità dolce» ispirati dall’idea che sarebbe meglio non avercele, le macchine. I loro opinion leader sono quei privilegiati che non ne hanno bisogno, mentre la loro forza viene da quelli che non possono permettersela. Hanno lanciato la moda politica di portare il limite da 50 a 30 kmh per contrastare quelli di mezzo, non abbastanza ricchi da vivere nei quindici minuti in bici né abbastanza poveri da non poter usare l’auto.
Nemmeno immaginiamo quanto cambierebbe la vita: meno incidenti, meno feriti, meno morti, meno smog, ciclisti e pedoni tranquilli. Un tripudio di gente felice e festosa, che se uno tornasse dopo qualche mese d’assenza manco riconoscerebbe la propria città. Magari! Sarebbe solo tutto più lento, con più stress e pare anche che i consumi aumenterebbero. Eppure, è questo che fanno le amministrazioni d’avanguardia, che sarebbe Milano ma stavolta Bologna l’ha bruciata al semaforo: non velocizzare ma rallentare gli spostamenti. Poi dimmi che il mondo non è al contrario.