È una guerra fantasma capace di apparire e scomparire ai quattro angoli del Medioriente. Ma è anche l’incubo di tutta la regione. L’uccisione, ieri, a Damasco di due dirigenti dei pasdaran iraniani dilaniati da un missile israeliano ne è l’ennesima manifestazione. Un colpo durissimo per Teheran ad un mese dall’uccisione – sempre in Siria – di Reza Mousavi altro comandante di punta dei pasdaran. Il conflitto fantasma tra Stato Ebraico e Repubblica Islamica è oggi la madre di tutte le guerre mediorientali. Per Israele è uno scontro «esistenziale» capace di minare la stessa esistenza. Per l’Iran, deciso a conquistare l’anima e la mente delle masse islamiche, è una sorta di Santo Graal.
La partita per ora si gioca solo nelle retrovie. Israele lo conduce con l’eliminazione, di scienziati nucleari e comandanti. Teheran lavora per procura affidandosi – oltre che ad Hamas e Jihad Islamica a Gaza e in Cisgiordania – alle milizie sciite in Irak, agli Houthi nello Yemen e ad Hezbollah in Libano. Iran e Israele condividono però il comune obbiettivo d’impedire che il fantasma si trasformi in conflitto vero. Per Israele è impensabile uno scontro diretto con l’Iran che lo costringerebbe a combattere da Gaza al Libano, dalla Cisgiordania alla Siria il con rischio di sorprese sul confine giordano ed egiziano. Un conflitto troppo ampio per un esercito di 180mila soldati di leva e 450mila riservisti, ma capace al tempo stesso di mandare in sofferenza economica un paese costretto – per schierare quei 450mila riservisti – a rinunciare ad una forza lavoro essenziale. In questo scenario l’unico modo per affrontare Teheran è farlo sotto l’ala protettiva del grande alleato americano. Ma per un’America di Joe Biden reduce da Irak e Afghanistan e prossima alla sfida presidenziale lo scontro diretto con l’Iran è l’ultimo degli scenari possibili.
Sull’altro fronte pesano i calcoli della dirigenza iraniana. Una dirigenza ben consapevole che un’economia sfiancata dalle sanzioni trasformerebbe in un suicidio lo scontro contemporaneo con il Piccolo e il «Grande Satana». Dunque meglio non rispondere ai colpi inferti da Israele, ma accelerare la corsa al nucleare nella consapevolezza che solo il possesso di un’arma atomica renderà l’Iran inattaccabile. Non a caso le centrifughe per l’arricchimento dell’uranio lavorano a pieno ritmo. Tanto da far dire capo dell’Aiea (Agenzia internazionale per l’energia atomica) Rafael Grossi che Teheran è «molto vicina» a possedere l’uranio arricchito necessario a far deflagrare un ordigno nucleare. Certo possederlo non significa esser in grado di costruire l’arma atomica. Anche per questo l’Iran punta a tenere in stallo il Grande e il «Piccolo Satana» e muovere con cautela i propri alleati per procura distinguendo tra essenziali e spendibili. Essenziale sicuramente Hezbollah che consente di tener sotto tiro Israele e non va sacrificato in una guerra inaccettabile per una popolazione libanese ridotta in miseria. Altrettanto indispensabili le milizie sciite usate per attaccare le forze americani in Irak e sollecitarne l’uscita dal paese già richiesta a livello politico dal premier filo-iraniano Mohammed Shia al-Sudani. Sacrificabili invece Hamas, che impedendo il riavvicinamento di Israele e Arabia Saudita ha già assolto il suo compito, e i ribelli Houthi mandati allo sbaraglio per bloccare le linee commerciali di Israele e degli alleati occidentali. Ma sulla scacchiera le pedine si assottigliano sempre più. E lo scontro finale è ogni giorno più vicino.