Sulla crisi del Canale di Suez la bomba capodanno cinese

In Borsa al riparo dal fattore Suez

Gli attacchi dei ribelli Houthi nel Mar Rosso stanno già facendo più danni della pandemia, almeno per quanto riguarda i commerci. È quanto emerge da un report di Sea-Intelligence, una delle principali società di consulenza sulle catene di approvvigionamento oceanico, che ha analizzato gli attuali ritardi delle navi rispetto a quelli degli ultimi anni. La necessità di allungare di molto il viaggio per passare attorno al Capo di Buona Speranza, anziché transitare dal Canale di Suez, sta rendendo difficile trovare una nave disponibile per ritirare i container nei porti. Ciò provoca un crollo della capacità di trasportare merci. Alan Murphy, ceo di Sea-Intelligence intervistato dal canale tv Cnbc, ha infatti precisato che «questa crisi del Mar Rosso» sta pesando di più «dell’impatto iniziale della pandemia». Non è difficile immaginare, perché lo si è vissuto in tempo di Covid, cosa può significare: ritardi nelle consegne, impennata dei costi per i trasporti, problemi nell’approvvigionamento del petrolio e del gas naturale liquefatto da cui dipendiamo dopo l’addio al metano russo. In una parola: inflazione. E prezzi più alti sposterebbero più in là l’orizzonte di un taglio dei tassi d’interesse da parte delle banche centrali, con effetti pesanti sulle economie per il credito, gli investimenti e la crescita economica. «Sulla situazione nel Mar Rosso sono molto preoccupato e non uso il termine preoccupazione con frequenza», ha detto il presidente dell’Associazione bancaria italiana, Antonio Patuelli. «Il rischio che ci sia un allargamento del conflitto e il Canale di Suez venga bloccato non si sa per quanto tempo è già in atto».

Di questo passo perfino il Pnrr è minacciato, perché se le merci non arrivano e i costi salgono, la fattibilità dei progetti è a repentaglio. Anche il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti (nella foto piccola), ha lanciato un allarme sull’attuale situazione geopolitica che rende assai difficile centrare gli obiettivi di crescita. Non è un caso, quindi, che l’Europa stia pensando di scendere in campo per tutelare i propri interessi, con una missione spinta da Italia e Francia per scortare i mercantili che dovrebbe ricevere l’ok entro lunedì prossimo dai ministri degli Esteri europei. A livello numerico, la dimensione del problema la dà il bollettino economico di Bankitalia diffuso ieri: «Nella seconda metà di dicembre, i volumi in transito nello stretto di Bab el-Mandeb all’imbocco del Mar Rosso, risultavano inferiori di quasi il 40% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente». E la situazione, nel frattempo, non può che essersi aggravata dopo gli attacchi anglo-americani alle basi Houthi e l’inasprimento delle tensioni nella zona. Un macigno su importazioni ed esportazioni: «Secondo nostre stime basate su dati relativi al 2022», continua Via Nazionale, «il trasporto navale sul Mar Rosso riguarda quasi il 16% delle importazioni italiane».

Le milizie Houthi, braccio armato dell’Iran, hanno affermato che le acque interne allo Yemen saranno sicure solo per navi non collegate ad alcuni paesi, in particolare Israele. Ergo: stop agli americani e loro alleati. Dunque, tranquillità solo per Russia e Cina, «le cui spedizioni – avvertono i terroristi -non sono minacciate». Va detto che su questa rotta transita una larga parte degli acquisti di beni dalla Cina (secondo mercato di approvvigionamento del nostro Paese). Un terzo delle importazioni italiane nella filiera della moda arriva attraverso il Mar Rosso; l’incidenza è elevata anche per le importazioni di greggio e per quelle di prodotti metalmeccanici, che costituiscono quasi il 30% degli acquisti dall’estero. Per quanto riguarda le esportazioni, qui vi transita «circa il 7% delle merci in uscita dall’Italia», aggiunge Bankitalia. Secondo le stime Sace sul 2023, l’export italiano è stato di 660 miliardi: il 7% significa oltre 46 miliardi di merci.

L’ulteriore bomba sui commerci, poi, arriverà dall’inizio del Capodanno cinese, che quest’anno durerà tra il 10 e il 25 febbraio. Un periodo in cui molte fabbriche in Cina chiuderanno per settimane, paralizzando di fatto gran parte dell’Asia e aggravando problemi di approvvigionamento che già si toccano.

Come ricordato dal viceministro alle Infrastrutture Edoardo Rixi, le compagnie portuali hanno avuto una diminuzione delle chiamate del 30-45% sulla rotta Genova-Shanghai. I noli sono cresciuti dell’85% e su Rotterdam si arriva al 133%. L’abbandono del Mar Rosso per passare dal Capo di Buona Speranza implica peraltro il 54% dei costi in più per il carburante. Oltre a questo i rincari delle polizze assicurative navali nella seconda settimana di gennaio è destinato ad aumentare fino al 400%. Non solo: la rotta lungo la circumnavigazione dell’Africa favorisce i porti del Nord Europa come hub per le merci, una sciagura per lo Stato italiano che incassa 13 miliardi l’anno tra Iva e accise. Una perdita di centralità dei porti, quindi, sarebbe un danno significativo anche per la casse pubbliche.

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