La rocambolesca evasione di Pertini e Saragat

Ottanta anni fa la rocambolesca evasione di Pertini e Saragat

Al numero 29 di Via della Lungara, una strada che costeggia il Tevere ed è protetta da un dislivello che quasi si fa bastione per la sua altezza, lastricata di piccole pietre piatte che a Roma chiamiamo sampietrini, v’è un gradino simbolico che conduce al portone di Regina Coeli. Esso è il primo carcere di Roma, controllato dai nazisti durante l’occupazione e luogo di detenzione per criminali comuni, disertori, comunisti, spie e patrioti.

Di lì, il 24 gennaio del 1944, due intellettuali, prigionieri politici e futuri presidenti della Repubblica italiana, Sandro Pertini e Giuseppe Saragat, discesero d’un solo passo nella rocambolesca evasione che gli rese salva la vita. Essendo loro nelle mani delle Ss, che potevano fucilarli da un momento all’altro, a discrezione del comando della Sicherheitsdienst (Sd), come valeva per gli altri prigionieri “speciali” tenuti in perenne stato d’interrogatorio e tortura a Via Tasso. Dove si davano da fare gli aguzzini della Banda Koch.

Un’evasione da cinema

Sono trascorsi 80 anni dal giorno di quell’evasione sensazionale, dai tratti quasi “comici”. Progettata da Giuliano Vassalli e Peppino Gracceva – entrambi comandanti di formazioni combattenti partigiane – era stata pensata per sette prigionieri politici: Luigi Allori, Luigi Andreoni, Carlo Bracco, Ulisse Ducci, Torquato Lunedei, Pertini e Saragat – tutti condannati alla pena morte per attività antifasciste – ma fu talmente “improvvisa” per alcuni di loro che, nello spirito e nella fretta, si dovette ricorrere a gesti d’ammicco, sussurri, cenni d’intesa e financo “calci sugli stinchi” per portare a termine con successo la “grande fuga“. O almeno così la storia ci è stata tramandata.

Informati dell’evasione, erano solo ed esclusivamente Saragat e Pertini, i quali fecero pressione per coinvolgere i compagni di prigionia ma non ebbero modo di avvertirli per tempo del piano.

Ha quasi del cinematografico il momento del ritiro degli effetti personali raccontato dai due futuri presidenti della Repubblica, i quali ricordarono come gli altri – che non erano stati informati della verano natura della scarcerazione – si soffermarono a reclamare oggetti personali come il celebre “paio di gemelli d’oro“, senza sapere cosa stava davvero accadendo e cosa stavano davvero rischiando: la fucilazione immediata per un raggiro che una volta scoperto fece andare su tutte le furie il colonnello Dolmann e il tenente colonnello Kappler, vertici a capo dell’Sd, della SiPo e della Gestapo che controllavano Roma.

Un piano ben congegnato

Come annotava l’agente del servizio segreto americano Peter Tompkins, da pochi giorni a capo delle operazioni clandestine a Roma Città aperta in conseguenza all’imminente sbarco alleato ad Anzio, l’evasione fu possibile grazie al brillante espediente pensato da Giuliano Vassalli che, dopo aver trafugato carte intestate e timbri adeguati, inviò al carcere di Regina Coeli un “falso ordine di scarcerazione” per Saragat, Pertini, e altri membri del Partito socialista clandestino. Liberati pochi minuti prima dell’entrata in vigore del coprifuoco – che iniziava alle 18.30 e rischiava di rimandare all’indomani la scarcerazione, con la possibilità che andasse tutto a monte – i “graziati” sfuggirono dalle esecuzioni giornaliere e dall’eccidio delle Fosse Ardeatine che li avrebbe visti certamente coinvolti in quanto prigionieri politici già condannati a morte. Al successo della fuga contribuirono alcuni partigiani socialisti come l’avvocato Filippo Lupis, Ugo Gala e Alfredo Monaco, rispettivamente capoguardia e medico del carcere, che intercedettero per far trasferire i detenuti dal 3° “braccio” controllato dalle Ss al 6° “braccio” controllato dalle autorità italiane.

Disceso il famoso scalino di Regina Coeli, a cui romani da sempre danno un valore simbolico, i fuggitivi si dileguarono “come lepri” nella selva oscura di vicoli deserti di una Roma pericolosa e infida, piena di Ss, agenti della Gestapo, agenti e informatori dell’Ovra, la polizia segreta fascista, e di doppiogiochisti che potevano riconoscerli e “venderli” in cambio di favoritismi, o peggio, di denaro. Si diedero tutti alla macchia: chi per evitare la cattura e un’esecuzione certa, chi per raggiungere il nord e proseguire nella Resistenza.

Giuseppe Saragat, allora direttore dell’Avanti!, sarà il quinto presidente della Repubblica Italiana, dal 1964 al 1971. Primo socialdemocratico a ricoprire tale carica. Sandro Pertini – allora membro di spicco del Comitato di liberazione nazionale e già carcerato esiliato a Ventotene – sarà il settimo presidente della Repubblica Italiana dal 1978 al 1985. Entrambi furono parte attiva della Liberazione dell’Italia, presidiata dai tedeschi che, dopo l’Armistizio dell’8 settembre, si fecero forza d’occupazione dell’Italia, suffragati dai repubblichini di Salò.

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