Gli appartamenti con vista panoramica sono indubbiamente più apprezzati e possiedono un valore superiore rispetto alle unità immobiliari prive di tale veduta. Nel contesto urbano, la visuale è limitata dalla presenza di edifici adiacenti, i quali, sebbene rispettino le distanze previste dalla legge, possono interrompere la vista del paesaggio. Ma in che cosa consiste esattamente il diritto di panorama e come si esercita in ambito condominiale o fra condòmini vicini? Cerchiamo di capirlo, anche se la questione non è semplicissima.
Diritto di veduta e diritto di panorama: analogie e differenze
Il diritto di veduta si configura come il diritto del proprietario di un fondo di affacciarsi su quello del vicino senza incontrare ostacoli prima di una determinata distanza. Al contrario, il diritto o servitù di panorama si riferisce al diritto del proprietario di un fondo che va oltre il semplice prospicere (per dirlo con il latino) sul terreno confinante, estendendosi per consentirgli di godere del panorama. Mentre l’articolo 907 del Codice civile regola il diritto di veduta in relazione alle distanze delle costruzioni dalle vedute, il diritto di panorama è stato delineato dalla giurisprudenza nel corso degli anni, con riconoscimento dei suoi modi di costituzione e limiti.
Tanto la servitù di veduta quanto quella di panorama sono entrambe configurate come servitù “negative”; ciò implica che, per consentire al fondo dominante il diritto di veduta o panorama, il fondo servente non può costruire. Inoltre, sia la servitù di veduta che quella di panorama possono essere costituite legalmente, per destinazione del padre di famiglia, in via testamentaria o per usucapione. Tuttavia, come specificato in alcune sentenze della Corte di Cassazione, in particolare la 2973/2012 e la 24401/2014, tali modalità di costituzione richiedono non solo, a seconda dei casi, la destinazione conferita dall’originario proprietario unico o l’esercizio ultraventennale di attività corrispondenti alla servitù, ma anche opere visibili e permanenti, ulteriori rispetto a quelle necessarie per la veduta.
Cosa dice la legge
In conformità con l’articolo 1027 del Codice civile, il sistema giuridico definisce e regolamenta la servitù come un “peso” imposto su un fondo per il beneficio di un altro fondo appartenente a un proprietario diverso. In virtù di tale principio, la servitù rappresenta un diritto reale di godimento su un bene altrui e un diritto reale immobiliare. Tuttavia, la nostra legislazione non fornisce alcun esplicito riferimento all’identificazione della servitù di panorama, nonostante le esigenze costanti degli individui di evitare che il loro panorama sia compromesso da edifici, alberi, siepi, antenne satellitari o di telefonia mobile.
Ad occuparsi per prima di questa problematica fu la Corte di Cassazione nel 1975, con la sentenza 3872/1975. In quell’occasione, si stabilì che la terrazza comune, oltre a fungere da copertura dell’edificio, svolge, per le sue caratteristiche obiettive, anche la funzione di offrire una vista panoramica, conferendo così un valore economico particolare alla terrazza stessa. Tale valore potrebbe diminuire nel caso in cui un condòmino, nell’ambito della sua proprietà esclusiva, riduca o escluda notevolmente tale vista, comportando un conseguente deprezzamento della terrazza.
Di conseguenza, si può affermare che i proprietari dei singoli appartamenti all’interno di un condominio hanno il diritto di non subire, a causa di costruzioni eseguite nella parte esterna dell’edificio da altri condòmini, una diminuzione non solo nel godimento di aria e luce, ma anche nella possibilità di effettuare aperture di vedute in appiombo.
Come esercitare il diritto di panorama
In presenza di una violazione della servitù di panorama, il proprietario danneggiato avrà il diritto di richiedere al proprietario del fondo servente il rispetto del suo diritto acquisito. In assenza di una risposta spontanea e conforme, potrà intraprendere azioni legali per ottenere il riconoscimento del diritto, conformemente all’articolo 1079 del Codice civile. Nello specifico, l’articolo citato stabilisce che “Il titolare della servitù può farne riconoscere in giudizio l’esistenza contro chi ne contesta l’esercizio e può far cessare gli eventuali impedimenti e turbative. Può anche chiedere la rimessione delle cose in pristino, oltre al risarcimento dei danni“. In pratica, si conferisce al titolare della servitù il diritto di agire in giudizio per ottenere il riconoscimento della sua esistenza. Tuttavia, il titolare della servitù che intraprenda azioni legali, dovrà dimostrare l’esistenza del diritto e l’ostacolo, o la turbativa della servitù.