Silenzio. Imbarazzo. Strategia. Emanuele Pozzolo aveva annunciato che avrebbe chiarito tutto davanti ai magistrati. I pm l’hanno convocato e lui invece si è nascosto dietro una frase di rito ascoltata chissà quante volte: «Mi avvalgo della facoltà di non rispondere». Sacrosanto, ma non se sei parlamentare. La politica non è la giustizia e non può aspettare. Il mistero dello sparo di Capodanno ha già dato un colpo di piccone alla credibilità del Palazzo, alla classe dirigente del Paese, e ha messo in difficoltà il governo, alle prese con una vicenda di cui avrebbe fatto volentieri a meno.
Esiste un dovere di trasparenza che fa parte del rapporto fra la community degli elettori e gli eletti. Rispettarlo, quando ci sono di mezzo esami balistici, perizie e interrogatori, non deve essere facilissimo e può comportare un prezzo da pagare.
Ma il sacrificio sarà sempre meno pesante rispetto alla ferita che si infligge alla cittadinanza, disorientata dalle svolte e controsvolte di Pozzolo: la pistola era la sua e non si capisce a che titolo sia uscita dalla tasca, con tanto di colpo in canna, e poi sia passata di mano o sia finita per terra, o non si sa bene che altro. «Non ho sparato io», ripete da quasi venti giorni il deputato; benissimo, e chi è stato allora? Per quanto: tempo dovremo convivere con questo insostenibile punto di domanda? A quanto si sa, lui ha tentennato prima di consegnare agli investigatori i vestiti, invocando l’immunità che però è uno scudo inadatto a fronteggiare situazioni del genere. Così il caso è scappato via dalla gabbia della cronaca e ha invaso i giornali, i talk, il chiacchiericcio di Palazzo Madama e Montecitorio.
Certo, l’interrogatorio è arrivato prima rispetto alle aspettative e al buio: non ci sono ancora le verità degli specialisti. Ci sono state invece, puntuali come un orologio svizzero, le più classiche fughe di notizie. Tutto vero. Ma questo non basta per rimanere arroccati in trincea. E non può essere un alibi per tacere.