Ancora orrori inenarrabili, stavolta le immagini trasmesse dalla Cnn in cui uno dei terroristi di Hamas taglia la testa degli abitanti del kibbutz Nir Oz. Notizie rivoltanti circondano queste immagini. Ma prima di tutto: la guerra non è finita dopo 104 giorni, e non può esserlo, qualsiasi cosa desiderino e vogliano pianificare gli amanti della pace: non lo è perché i missili seguitano a piovere su Israele (50 su Netivot solo due giorni fa tutti insieme, e ogni poche ore una pioggia minore che deve dimostrare che Sinwar è vivo, che Hamas spara da Jabalia e da Khan Yunis; al nord lo scontro con Hezbollah non accenna a diminuire); e soprattutto perché ogni giorno si conferma l’impossibilità di convivere con la perversione che ha segnato il 7 di ottobre e di cui non finiscono mai di uscire alla luce gli incredibili, inenarrabili particolari e le conseguenze.
Ha ragione il presidente Isaac Herzog che, parlando al Forum di Davos vicino alla foto del piccolo Kfir Bibas rapito con la famiglia intera e il fratello di 4 anni e che ha compiuto ieri un anno nelle grinfie di Hamas, ha detto: «Se chiedi a un israeliano medio sano di mente di pensare a quale soluzione vede per un accordo di pace, ti risponderà che al momento vuole sapere solo una cosa: Potrò vivere in sicurezza nel futuro?». La risposta può venire solo dalla realizzazione dello scopo che si è dato il governo di Israele, quello di obliterare i nemici e consentire il ritorno di duecentomila persone a casa a sud e a nord e di scoraggiare il terrorismo ovunque. Come potrebbe fermarsi adesso, con tutto quello che ancora, giorno dopo giorno, si impara sulla natura di Hamas? La pace non è un’icona in cui primeggia una Autorità palestinese che non ha mai condannato gli orrori del 7 ottobre, e la cui popolazione tiene per Hamas. Occorre una soluzione possibile, non utopistica.
Sui tagliatori di teste di Hamas adesso si sa che sono anche peggiori di quelli dell’Isis: come loro tagliano le teste, ma non si è mai saputo che l’Isis ne commerciasse. Invece qui testimonia una nuova parte della vicenda David Tahar, il cui figlio Adir di 19 anni fu ucciso in una base sul confine di Gaza durante il devastante attacco. Il suo corpo distrutto dalle granate è stato anche sfregiato col taglio della testa, e identificato solo col Dna, come centinaia di persone sfregiate e fatte a pezzi. David, dopo aver seppellito con amore i resti del figlio, ha ricevuto a dicembre una notizia pervenuta dall’interrogatorio di un prigioniero di Hamas: il miliziano ha cercato di vendere la testa prevedendo di ricavarne 10mila dollari, e ha detto dove si trovava. Recuperata dai soldati d’Israele, la testa a sua volta mutilata e massacrata è stata infine riunita al corpo di Adir. David ha fondato a Gerusalemme un centro in sua memoria in cui si cura la gioventù a rischio. Ogni giorno si vive qui il «day after»: gli ospedali contano almeno 8000 feriti solo militari, è incredibile il numero dei ragazzi senza uno o più arti. Ventimila sono i curati per post trauma. Le famiglie dei rapiti devono ogni giorno affrontare, via via che le persone liberate prendono coraggio, i racconti delle torture che si soffrono nelle gallerie di Hamas: Aviva Siegel ha raccontato come ha visto personalmente torturare una giovane e come vengono violentate le ragazze in cattività; la polizia ha raccolto più di 1000 testimonianze e più di 60mila videoclip sulle violenze sessuali accompagnate da delitto, decapitazione, esecuzioni con spari in testa, smembramenti che un numero assurdo di donne, bambini, ragazzi hanno subito. Le famiglie raccontano ogni giorno come i rapimenti siano avvenuti mentre sotto gli occhi dei disperati nelle mani di Hamas venivano giustiziati i loro cari, figli, genitori. Ogni giorno si viene a sapere di nuove incredibili crudeltà, e questo devono sapere gli esseri umani degni di questo nome, capendo che garantisce la pace e la civile convivenza di tutti solo la sconfitta di chi ha saputo concepire e portare a compimento tutto questo male. Il resto, è commento.