Sovrano è chi possiede l’autorità di dichiarare e decidere lo stato di eccezione che è il caso non descritto nell’ordinamento giuridico vigente. Grazie ad esso, scrive Carl Schmitt, lo Stato sospende il diritto perché «non esiste nessuna norma che sia applicabile ad un caos».
Formule che, grazie a sinonimi e a cautele verbali di ogni tipo, abbiamo sentito risuonare mille volte negli anni della pandemia nel momento in cui si è accennato all’erosione della legalità, allo svuotamento dall’interno della democrazia e a pratiche amministrative di controllo sociale.
Tutta la seconda fase del Novecento aveva infatti persuaso il cittadino occidentale che lo stato di emergenza dovesse essere regolato e dominato fino all’estremo dal diritto, mentre l’arrivo del Covid ha svelato un anomalo tratto di eccezionalità del potere, in grado di espandersi e consolidarsi attraverso una inedita e incessante produzione normativa.
La dittatura, saggio del 1921 (ora riposto da Il Mulino, pagg. 336, euro 29, con la curatela di Carlo Galli), è un testo fondamentale di Schmitt. In primo luogo, per comprendere la distinzione fra dittatura sovrana e dittatura commissaria (quest’ultima sospenderebbe la costituzione solo in via temporanea). Poi, per decrittare i presupposti del concetto di sovranità che giungerà a piena maturazione teorica nei decenni successivi, come dimostrano le diverse premesse ad ogni nuova edizione (1921, 1928, 1964 e 1978) che Schmitt rielaborerà con innesti, tagli o sostanziali modifiche e che, opportunamente, Galli mette a disposizione del lettore.
Il saggio prende le mosse dalle argomentazioni intorno al concetto di crisi e di stato di eccezione, quando cioè viene messa al centro la questione su chi (o cosa) avrebbe il potere di decidere questa sospensione e rendere lecita l’idea della dittatura come misura eccezionale in grado riportare ordine e sicurezza. Ma è ancor prima una ricognizione storica che mette a confronto l’esperienza dei soviet, la dittatura di Cromwell, quella dei commissari del popolo durante la rivoluzione francese per arrivare al celebre articolo 48 della Costituzione di Weimar.
Schmitt antepone la politica ad ogni costruzione artificiosa: se lo Stato rappresenta l’esplicitazione della politica è conveniente che si riappropri di ogni sua prerogativa e lo faccia con tutta l’autorità possibile. E quindi palesa la sua contrarietà all’erosione del centro decisionale perché il presupposto è sempre lo stesso: la sovranità risiede in chi possiede l’autorità e il potere di decidere lo stato d’eccezione.
Una dottrina giuridica che si costruirà sulla insofferenza verso il normativismo («l’ordinamento giuridico, come ogni altro ordine, riposa su una decisione e non su una norma») e su un approccio in netta contrapposizione a quello formale di Kelsen, perciò partendo dal presupposto che a determinare l’azione dello Stato non siano gli scopi morali ma i pericoli concreti. E davanti ai pericoli, per Schmitt conta solo la conservazione e la continuità dello Stato.