Si può decidere su temi eticamente sensibili andando all in? La forzatura del governatore veneto Luca Zaia (a destra) sul suicidio assistito si è rivelata un boomerang e ha lacerato tutti i partiti, non solo il centrodestra. Segno che su questioni delicatissime che riguardano la vita e la morte non è il caso di piantare bandierine, cercare medaglie o (peggio ancora) tentare invasioni nel campo altrui a caccia di facili consensi, come un qualsiasi catch all party, il partito pigliatutto di massa secondo una felice definizione di un politologo tedesco, Otto Kirchheimer. La recente storia italiana è piena di questi tentativi, fallimentari più per il Paese che per chi li ha percorsi. La devolution di Massimo D’Alema del 2000 fu fatta per attirare (invano) i consensi della Lega di Umberto Bossi «costola della sinistra» ma è così pasticciata che il conflitto Stato-Regioni che ha generato manifesta i suoi effetti nefasti ancora oggi. Matteo Renzi impose il voto di fiducia sulle coppie di fatto, riformicchia che non ha cambiato affatto il destino delle coppie etero e omosessuali contrarie al matrimonio, violando però il principio sacrosanto che sui temi etici serve libertà di coscienza. Tutte le volte che, giustamente, il centrodestra prova a valutare le istanze delle famiglie «non tradizionali», la sinistra si allarma. Ma è un’utopia pensare che sulla maternità surrogata (pratica odiosa che persino un Papa considerato gay friendly contesta) si possa ottenere un’unanimità alle Camere o nei parlamentini regionali? Esiste un diritto a una buona morte, oggi che il tema del fine vita si intreccia pericolosamente con lo stato comatoso della sanità italiana che rischia di non poter curare più tutti? La ricetta contro i troppi mercanti di eutanasia in giro per lo Stivalenon è la contrapposizione ma un dibattito serio su testamento biologico, suicidio assistito e cure palliative (di cui si parla pochissimo) in Parlamento – come chiede da tempo la Consulta – e sui giornali, destinati diversamente a restare lettera morta.