Iran contro Pakistan: prove di egemonia

Iran contro Pakistan: prove di egemonia

Con il botta e risposta tra Iran e Pakistan, il secondo fronte della guerra mondiale a pezzi scatenata dall’Asse delle autocrazie contro l’Occidente rischia di sfuggire definitivamente di mano. Nelle prime ore di ieri il Pakistan, che aveva preso malissimo con tanto di sospensione delle relazioni bilaterali con Teheran – l’attacco iraniano di due giorni prima contro una base di un gruppo armato separatista del Belucistan sul suo territorio, ha restituito il colpo. Islamabad ha riferito di «una serie di attacchi mirati di precisione» contro diversi sospetti covi dei separatisti nella provincia iraniana di Sistan-Belucistan. Teheran, però, ha lamentato «nove vittime civili», proprio come il Pakistan che ne aveva denunciate cinque martedì scorso.

Il Belucistan, una regione divisa tra Pakistan e Iran da un confine lungo mille km che corre nel deserto, è fonte di grattacapi per entrambi i Paesi da decenni, ma quasi mai si erano verificati attacchi contro i separatisti da un Paese all’altro. Il fatto che sia accaduto adesso ha però un significato che va molto al di là di una vecchia crisi locale. Adesso l’attacco iraniano in territorio pakistano arriva a tre giorni da precedenti azioni militari di Teheran oltre i confini di altri due vicini, l’Irak e la Siria. Azioni che indicano la precisa volontà dell’Iran di estendere l’incendio divampato in Medio Oriente con l’attacco di Hamas a Israele lo scorso 7 ottobre. E senza troppo preoccuparsi che il Pakistan sia una potenza atomica.

Teheran già arma e finanzia tutti i soggetti coinvolti negli attacchi a Israele e agli interessi occidentali in Medio Oriente: Hamas a Gaza, Hezbollah in Libano, milizie sciite in Irak e in Siria e ultimo ma al momento più importante di tutti gli Houthi dello Yemen che stanno mettendo in gravissima crisi la libertà dei commerci internazionali attraverso il Mar Rosso e il Canale di Suez. Adesso, con la recente sequenza di suoi propri attacchi condotti con missili in tre Paesi vicini, Teheran annuncia l’intenzione di «garantire la propria sicurezza» dopo aver subito una serie di gravi colpi sul proprio territorio. Il più grave era stato l’attentato con 100 morti dello scorso 2 gennaio a Kerman, che aveva tentato di attribuire a Israele ma che è stato invece rivendicato dall’Isis.

La credibilità di questa pretesa è pari a quella di Vladimir Putin (che dall’Iran acquista missili e droni che lancia sull’Ucraina) quando afferma di aver attaccato Kiev per difendersi dall’Occidente: zero. Il ruolo dell’Iran in questa sempre più pericolosa crisi mediorientale va oltre la ricerca di un’egemonia regionale: è di natura offensiva contro bersagli occidentali (Israele, gli Stati Uniti e l’Europa attraverso i suoi vitali commerci), ed è concordato sempre più scopertamente con Mosca e Pechino, che mirano a indebolire gli Usa nel mondo arabo. Ieri i ministri degli Esteri iraniano Abolhammadi e russo Lavrov hanno detto rispettivamente che l’Iran «non si fermerà» e che «gli Stati Uniti devono smettere di aggredire lo Yemen» (cioè di cercare di impedire agli Houthi di attaccare mercantili occidentali nel Mar Rosso, ieri il quinto bombardamento a stelle e strisce sulle basi dei ribelli). La Cina invece per ora fa il poliziotto buono: invita Pakistan e Iran alla calma e si offre come mediatrice. Deve curare i suoi interessi economici (Gwadar, nel Belucistan pakistano, è un porto chiave della Via della Seta) ma è schierata dalla stessa parte di chi ci aggredisce, in Medio Oriente e non solo. Solo, è più subdola.

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