Il colloquio della Meloni con Gates sulla rivoluzione dell’Ai

Il colloquio della Meloni con Gates sulla rivoluzione dell'Ai

L’intelligenza artificiale è molto furba e per ora si presenta alle masse come un gioco. È così che ce la faremo amica, come una compagna, un passatempo, un tempo perso, un’abitudine. Non chiederti perché la immagini femmina, forse per simpatia, forse perché sa fare più cose contemporaneamente o perché in fondo Eva è più genuina di Adamo. Fatto sta che il suo ruolo nelle piazze virtuali assomiglia all’indovino, all’oracolo che ti svela il domani futile mischiando gli algoritmi più irrazionali. Il sospetto è che si diverta a sparare pronostici a casaccio spacciandoli per calcolo di probabilità. C’è chi ha chiesto, per esempio, a Chatgpt chi vincerà Sanremo 2024 e la classifica finale. Dice che i fiori andranno a Angelina Mango, con La noia, e poi a seguire Geolier, The Colors, Big Mama, Mahmood, fino all’ultimo posto di Renga e Nek. Non si accettano scommesse.

L’intelligenza artificiale non è questo. È una rivoluzione superiore al telaio a vapore, quello di James Watt, una svolta tecnologica che cambia in profondità non solo la società, il lavoro, il destino del capitalismo, ma mette l’umano davanti a uno specchio. Chi siamo? Cosa sono loro, le macchine. Sam Altman, padre di Open Ai, dice che lo strumento è molto potente, porta benefici, ma il rischio che qualcosa possa andare male c’è. «Non va fermata, ma regolata». È per questo che ai vertici del potere ci si interroga sul «che fare?». È una questione di limiti e di paure, di quanto vuoi correre e se si è pronti a mettere in campo una responsabilità etica che l’animo umano purtroppo da sempre fatica a sopportare. Se ne parla perfino a Davos con un certo spirito millenaristico, tanto che lo show del giorno è il rito sacro dello sciamano amazzonico della tribù Yawanawá, che canta e soffia sul capo dei leader mondiali un po’ di speranza.

Giorgia Meloni segue da un po’ di tempo gli sviluppi dell’intelligenza artificiale. È una sua passione. Ne subisce il fascino, ma non nasconde il rischio di giocare con il fuoco. È il regalo e la maledizione di Prometeo, il titano che dona agli umani la luce e l’energia e per questo verrà punito. Ne hanno parlato proprio ieri con Bill Gates. Si sono visti a Palazzo Chigi, con poche indiscrezioni e senza foto. È chiaro che il discorso sull’intelligenza artificiale non può seguire i confini degli Stati. È una questione universale e chiama in causa la legge, la tecnica, il denaro, la guerra e più di ogni altra cosa l’etica. Sembra un romanzo di Italo Calvino, magari Il castello dei destini incrociati, dove l’umanità legge il destino sfogliando sul tavolo le carte dei tarocchi. Non fate l’errore di pensare che questa rivoluzione possa essere gestita solo da un «sinedrio» di scienziati. La risposta in questo caso non arriva dalla scienza. È morale.

Lo sa bene padre Paolo Benanti (nella foto), il presidente della commissione sull’intelligenza artificiale. Il francescano ne ha parlato ieri a Senato tv. Si può insegnare l’etica agli algoritmi? È questa la scommessa. Ma bisogna anche dare agli umani il dono di discernere tra il reale e il virtuale. È l’anello della consapevolezza e è stato dimenticato da qualche parte. La macchina ama raccontare storie e sta diventando brava. Molte di quelle storie non sono vere.

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