Dai flop nello sport al guaio pandemico: ecco che fine ha fatto Vincenzo Spadafora

Dai flop nello sport al guaio pandemico: ecco che fine ha fatto Vincenzo Spadafora

Se non ci fosse stato il Covid di mezzo, con tutta probabilità la sua esperienza da ministro dello Sport sarebbe ben presto finita nel dimenticatoio, assieme ad altre figure che hanno ricoperto in maniera marginale incarichi di governo. E invece quei tragici primi mesi del 2020 misero completamente a nudo l’incapacità di un esponente politico, nel momento più complicato dello sport italiano (e non sono in ambito professionista), facendo entrare di diritto Vincenzo Spadafora nella classifica dei ministri con il più alto tasso assoluto di gaffe e scivoloni dialettici. Riportarle tutte una a una è impresa impossibile: resta comunque il fatto che lui non è più neanche parlamentare semplice dopo essersi andato a schiantare con la candidatura della lista di Luigi Di Maio. E adesso, quale lavoro svolge?

50 anni il prossimo marzo, prima di fare politica Vincenzo Spadafora era stato presidente di Unicef Italia. Originario di Afragola, in provincia di Napoli, comincia la propria attività pubblica nel 1998 da segretario particolare del presidente della Regione Campania, Andrea Losco (Udeur). Lavora poi nella segreteria dei Verdi di Alfonso Pecoraro Scanio e nel 2006 diventa capo segreteria al ministero dei Beni Culturali sotto Francesco Rutelli. Nel novembre 2011 Gianfranco Fini e Renato Schifani lo nominano primo garante dell’infanzia e dell’adolescenza. Cinque anni più tardi entra nello staff di Di Maio per il quale diventa “responsabile delle relazioni istituzionali”, per poi essere candidato nel Movimento 5 Stelle al collegio uninominale di Casoria, venendo quindi eletto deputato. Nel giugno 2018 diventa sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega alle pari opportunità e ai giovani nel governo Conte 1, dove porta avanti alcune battaglie contro l’omofobia. Poi però, con il Conte 2 nel settembre 2019 inizia la guida a un dicastero che gli causerà diversi grattacapi.

Tutti gli errori di Spadafora durante il Covid

Con l’esplosione della pandemia tra febbraio e marzo 2020, la collezione delle sue figuracce istituzionali comincia a prendere corpo. Tutto parte dal desiderio di non fare disputare a porte chiuse Juventus-Inter del 1° marzo di quattro anni fa per non cadere in un danno d’immagine. Spadafora prima mette pressione alla Lega Calcio per far sì che il match più importante del campionato venga rinviato a maggio, poi però si stabilisce che il derby d’Italia dovrà essere recuperato l’8 marzo, ovviamente senza spettatori. Il ministro grillino, quella stessa domenica, va su tutte le furie: “Avevamo chiesto di dare la possibilità agli altri soggetti di trasmettere almeno le differite in chiaro, così la gente non si sarebbe assembrata nei locali. Davanti a questa richiesta, l’amministratore delegato di Sky e il presidente della Lega Serie A finivano il loro discorso sempre così: ‘Cosa ci perdiamo e cosa ci guadagniamo?’. Si è parlato solo di soldi“.

Pochissimi minuti dopo la stessa tv di Murdoch lo sburgiarda totalmente: “Il ministro aveva tutte le possibilità di offrire gratuitamente agli appassionati italiani le partite. Gli è stato da noi più volte proposto, mettendo a disposizione mezzi, risorse e canali in chiaro per permettere a tutti di vederle, ma evidentemente ciò non gli è bastato. Avrebbe dovuto modificare le regole e le leggi per ottenere quello che forse desiderava, ma non le ha cambiate. Ora afferma che le cambierà. Le regole e le leggi non le può modificare né la Lega né Sky né Dazn. Questo invece è da sempre il vero compito del legislatore. Quindi si assuma le sue responsabilità“. Ma è solo l’inizio delle topiche ministeriali.

Con lo stop ufficiale previsto dal dpcm del 9 marzo, tutti gli eventi sportivi si bloccano fino a contrordine. Pallacanestro, pallavolo e rugby interrompono autonomamente e definitivamente i propri campionati; il calcio, legittimamente, no. Spadafora, in tutto questo, non aiuta a ristabilire l’ordine della ripresa dei campionati e cerca sponda con quei club che fanno fronda per fermare la Serie A. Il 29 aprile profetizza: “Comincio a percepire, leggendo alcune dichiarazioni, che probabilmente nei prossimi giorni potremmo avere una sorpresa dopo la riunione straordinaria della Lega: secondo me ci potrebbe essere anche una maggioranza dei presidenti dei club a chiederci di sospendere e di prepararsi invece nel migliore dei modi al nuovo campionato“. Previsione sbagliatissima, visto che l’assemblea della Lega Serie A conferma all’unanimità l’intenzione di tornare a giocare per chiudere la stagione.

Il ministro dello Sport contro il calcio

Il 3 maggio Spadafora si sfoga su Facebook: “Gli allenamenti delle squadre non riprenderanno prima del 18 maggio e della ripresa del Campionato per ora non se ne parla proprio. Ora scusate ma torno ad occuparmi di tutti gli altri sport e dei centri sportivi (palestre, centri di danza, piscine, ecc) che devono riaprire al più presto“. Insomma, ministro che dovrebbe tutelare tutto lo sport, senza stilare classifiche né elencare priorità, utilizza toni sprezzanti contro un settore che dà lavoro a più di 100mila persone, per un contributo economico diretto al Paese supera i 742 milioni di euro, e che dovrebbe ripartire con i pochi professionisti (circa 500) garantiti da frequenti tamponi che ne certifichino la salute. L’irritazione di Spadafora, che voleva chiudere la Serie A con un atto d’imperio, raggiunge il proprio “capolavoro” il 6 maggio alla Camera il capolavoro: rispondendo a un’interrogazione di Italia Viva, il ministro cita a sostegno della propria posizione anche le manifestazioni contrarie alla ripresa del campionato da parte dei gruppi ultras, eretti improvvisamente a validi e credibili interlocutori.

Il 13 maggio sostiene che il campionato di calcio “riprenderà perché saremo arrivati a questa decisione dopo una successione ordinata di azioni e protocolli al fine di riprendere in sicurezza, di tutti“. Già, peccato che pochissimi giorni prima lo stesso Spadafora avesse messo un bel like su Facebook al seguente commento sul suo profilo: “I tifosi non vogliono che il campionato riprenda! I tifosi sono consapevoli delle enormi risorse sprecate per un mese e mezzo di campionato quando i comuni cittadini faticano ad ottenere un tampone! Ministro, metta fine a questa scellerata e dispendiosissima farsa! Grazie“. Infine, obtorto collo, dà il nulla osta dei campionati, con tutte le limitazioni previste, ma con una postilla velenosa datata 28 maggio: “Io mi sono molto arrabbiato con questo mondo nel momento in cui un mese fa mi chiedevano di ripartire e di decidere la data quando noi avevamo problemi con le terapie intensive o trasferivamo le bare sui mezzi del Ministero della Difesa. Ho trovato assurdo chiedermi quando riprendesse il calcio in un momento del genere“. La strumentalizzazione dei morti di Bergamo e Brescia fu alquanto populista e agghiacciante, anche perché conteneva una bugia spudorata: le drammatiche scene delle bare trasportate dai soldati erano di fine marzo 2020 e in quel frangente non c’era un solo dirigente calcistico che aveva chiesto di riprendere il campionato.

Il presente (e il futuro di Spadafora)

È sostanzialmente da un anno e mezzo che Spadafora non grava più sui contribuenti pubblici: con il passaggio del Conte 2 al governo Draghi lui ha smesso di fare il ministro e, nel settembre 2022, ha perso la sfida per il seggio parlamentare all’uninominale, dove viene sconfitto in larga misura dal candidato del Movimento 5 Stelle Pasqualino Penza, ottenendo un misero 19,1% con Impegno Civico. Ha smentito categoricamente di ritornare a breve nell’agone politico, in particolare modo con il Partito Democratico in vista delle prossime elezioni europee. Staremo a vedere se effettivamente andrà così: quello che al momento è certo è che l’ex ministro dello Sport sta lavorando con un’organizzazione internazionale, Terre des Hommes. Tuttavia, come annunciato qualche mese fa a Omnibus su La7, “mi piacerebbe nei prossimi mesi mettere insieme tutti quelli che, in qualche modo, non si riconoscono oggi in questa partecipazione allargata del centrosinistra, perché questo rimane comunque il mio campo“. Ad maiora, ministro.

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