L’incognita Trump sulle debolezze Ue

L'incognita Trump sulle debolezze Ue

Fino a sei mesi fa l’ipotesi che Donald Trump potesse tornare alla Casa Bianca era considerata una boutade. Ora – dopo quel mezzo plebiscito che si è verificato nelle primarie repubblicane dell’Iowa – l’eventualità che molti temono potrebbe verificarsi. Un’incognita che già sta condizionando la politica internazionale, e non solo, perché i punti cardinali della filosofia trumpiana sono ben noti, sintetizzati nella dottrina «America First». Un’America più isolazionista, che pensa solo a se stessa, infatti, rischia di diventare un problema per molti. E comunque potrebbe ricadere in parte su di noi, sull’Europa, quel ruolo di supplenza a cui gli Stati Uniti ci hanno abituato nel corso di tante crisi internazionali. Il dilemma è, però, se siamo all’altezza e se siamo pronti. E qui il dilemma potrebbe trasformarsi in un incubo.

Non per nulla il primo a non dormire sonni tranquilli per «l’incognita Trump» è Vladimir Zelensky, che non è poi tanto sicuro dell’affidabilità dell’Unione Europea e ha cominciato a convertirsi all’idea del negoziato con la Russia: il presidente ucraino comincia ad essere consapevole che senza Biden alla Casa Bianca rischia di perdere un sostegno fondamentale. Donald Trump sulla guerra in Ucraina ha un approccio ben diverso – e non ne ha mai fatto mistero – da quello dei democratici americani. «Con me la guerra sarebbe già finita», ha sempre detto. E la ragione è semplice: il possibile candidato repubblicano alla Casa Bianca è convinto che l’impegno americano non può superare un certo limite e il suo giudizio su Putin non è certo quello di Biden.

Un atteggiamento che si ripeterebbe nella maggior parte delle crisi internazionali, specie quelle più lontane dagli interessi geografici ed economici americani. Ieri, ad esempio, Osvaldo De Paolini su questo Giornale elencava le conseguenze drammatiche dal punto di vista economico che potrebbe avere la crisi nel mar Rosso, cioè gli attacchi dei ribelli Houthi, lunga mano di Teheran, alle navi commerciali. Il triplicarsi e il quadruplicarsi dei costi di trasporto in un’arteria fondamentale come quella che porta al canale di Suez potrebbe addirittura determinare un’impennata dell’inflazione. Senza l’impegno americano in quella zona, il commercio internazionale sarebbe alla mercé degli Houthi e dell’Iran vista la ritrosia di diversi Paesi europei (a cominciare dal nostro) a presidiare quell’area. Sicuramente con Trump alla Casa Bianca gli Stati Uniti prima di continuare a svolgere il ruolo di guardiani in ogni angolo del pianeta soppeserebbero i pro e i contro e la sicurezza di quella rotta tocca più i nostri interessi che non quelli americani.

Appunto, l’Europa, altro capitolo: nella mente di Donald il rosso la Ue da una parte è un alleato, dall’altra un competitor che va tenuto a bada, in una condizione di debolezza. Non per nulla Trump – non va dimenticato – brindò alla Brexit, cioè all’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. Tutto questo dovrebbe spingere i 27 Paesi ad attrezzarsi per sopravvivere con o senza l’ombrello americano: ci vorrebbe una politica della difesa con investimenti adeguati per dar vita ad un vero esercito europeo; e, contemporaneamente, una maggior capacità decisionale e una politica estera unitaria. Siamo nel mondo dei sogni.

La verità è che con Trump di nuovo in sella o l’Europa diventa grande, o rischia di soccombere. E qualche riflesso l’incognita trumpiana potrebbe averla anche da noi: molti protagonisti del populismo di casa nostra, nelle sue diverse forme, abbracciarono all’epoca Donald il rosso, ma poi lo ripudiarono o lo dimenticarono. Il ritorno potrebbe spingerli ad una nuova metamorfosi o trasformarsi in un rebus.

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