Il mitico coatto romano di Un sacco bello, «Enzo», (quello che nella rubrica telefonica ha solo due numeri: alla lettera «O», «Olimpico stadio» e, alla lettera «S», «Stadio Olimpico» ndr) non sa più dove sbattere la testa; spiazzato dall’esonero di Mourinho che i tifosi della «Maggica» avevano negli ultimi tempi ribattezzato Bollitinho per la lunga serie di indigeribili pancotti calcistici stufati da chef José, roba da far rivoltare nella tomba la compianta Sora Lella.
Carlo Verdone, anche lei, come il suo «Enzo», non sa più dove sbattere la testa?
«L’esonero dello Special One ha lasciato di stucco la tifoseria. Si pensava che il cambio in panchina sarebbe avvenuto eventualmente a fine stagione».
Che idea si è fatto. Di chi è la colpa?
«Un po’ di tutti».
In che senso?
«Sarebbe ingiusto buttare la croce solo su Mou».
Ma da uno come lui ci si aspettava molto di più.
«Vero. Aggiungo che un po’ di autocritica da parte sua non avrebbe fatto male…».
Invece?
«Si è solo lamentato di non avere una squadra all’altezza della situazione».
In effetti non ha detto una bugia…
«In parte ha ragione, soprattutto per quanto riguarda il centrocampo».
Eppure la società non ha lesinato sull’acquistare di nuovi calciatori.
«Sì, ma molti di quelli presi erano rotti».
I Friedkin hanno giocato al risparmio?
«Non credo. Dybala è costato un sacco di soldi. Idem per Lukaku e lo stesso Mourinho».
Friedkin assolti?
«Non del tutto. Chi sono questi Friedkin? Nessuno li ha mai visti, non hanno mai rilasciato interviste, cosa vogliono fare davvero della Roma? Nei quadri societari mancano figure importanti e alcune non parlano neppure l’italiano».
Insomma, dei fantasmi…
«Accerchiati, a loro volta, da altre entità assenti…».
A chi si riferisce?
«I Friedkin avevano chiesto di costruire un nuovo stadio, ma sono stati ignorati dalle istituzioni capitoline. Forse si sono sentiti isolati e questo gli ha tolto entusiasmo».
Dopo-Mou: De Rossi, l’uomo giusto?
«Daniele è un amico, un’ottima persona e un tecnico competente».
Basterà?
«Staremo a vedere. Forse la squadra, con Mou, si era depressa avvertendo un deficit di stima da parte del tecnico. Ora con De Rossi i giocatori non hanno più alibi. Dovranno dare il massimo e risalire la china».
Carlo Verdone com’è diventato un super tifoso giallorosso?
«Per merito del mio compagno di banco delle elementari».
Cioè?
«Avevo 7 anni. Lui era bravissimo in disegno. Ne fece uno bellissimo: un giocatore della Roma che in rovesciata metteva il pallone nella rete alle spalle del portiere del Milan. Colori vividi. Il gesto acrobatico del centravanti, il volo del portiere. Me ne innamorai…».
E poi?
«Il papà del mio amico ci portò per la prima volta in curva all’Olimpico. E lì sbocciò la mia fede calcistica».
Lei all’Olimpico ha anche provato il brivido di indossare, da giocatore, la maglia della sua squadra del cuore.
«Quando ero giovane facevo parte della nazionale degli attori. Ci esibivamo per beneficenza. Ero pure bravino…».
Meglio come attore e regista…
«La carriera di calciatore finì con una telefonata del medico che mi aveva operato qualche tempo prima: Ti ho visto in tv in una partita di beneficenza. Sei pazzo?. Ma il colpo di grazia fu un altro…».
Vale a dire?
«Una frase di scherno che mi fu lanciata dalla tribuna…».
Se la ricorda bene…
«E come non potrei? Avevo la maglia numero 7. E lo spettatore mi urlò, senza pietà: A setteee, nun sei bono neppure per la primieraaa…».