Il tribunale di Milano ha disposto l’amministrazione giudiziaria per la Alviero Martini spa. Secondo i giudici l’azienda di alta moda non sarebbe stata in grado di“prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo“ lungo la propria filiera di appalti. L’inchiesta portata avanti dal Nucleo ispettorato lavoro dei carabinieri di Milano, coordinati dal pm Paolo Storari, mostrerebbe una “connessione” fra il“mondo del lusso” e “quello di laboratori cinesi” con un unico obiettivo, ossia l’abbattimento dei costi e la massimizzazione dei profitti “attraverso elusione di norme penali giuslavoristiche”.
L’inchiesta ha acceso i riflettori su otto opifici, tutti risultati irregolari. Entrando nel dettaglio, sono stati identificati197 lavoratori di cui 37 occupati in nero e irregolari sul territorio nazionale. Sono state rilevate condizioni di sfruttamento con paghe sotto soglia, orari di lavoro non conforme, ambienti di lavoro insalubri, violazioni in materia di sicurezza e dormitori abusivi“in condizioni igienico sanitarie sotto minimo etico”. L’azienda Alviero Martini non risulta indagata, mentre sono statati denunciati a piede libero per caporalato oltre 10 imprenditori di aziende (amministratori di fatto o di diritto, di origine cinese) e 37 persone non in regola con documenti e permessi si soggiorno in Italia. Ammende per oltre 153 mila e sanzioni amministrative per 150 mila euro. Inoltre, è stato disposto lo stop nei confronti di sei aziende per gravi violazioni in materia di sicurezza e per utilizzo di lavoro nero.
Il commissariamento della Alviero Martini spa è stato sancito poiché l’azienda non avrebbe“mai effettuato ispezioni o audit sulla filiera produttiva per appurare le reali condizioni lavorative” e “le capacità tecniche delle aziende appaltatrici tanto da agevolare (colposamente) soggetti raggiunti da corposi elementi probatori in ordine al delitto di caporalato”. Nel provvedimento con cui si nominano gli amministratori giudiziari, Marco Mistò e Ilaria Ramoni, e si fissa l’udienza per il prossimo 9 aprile per discutere della questione, il pm Storari ha affermato che nella società Alviero Martini “vi è una cultura di impresa gravemente deficitaria sotto il profilo del controllo, anche minimo, della filiera produttiva della quale la società si avvale; cultura radicata all’interno della struttura, della persona giuridica, che ha di fatto favorito la perpetuazione degli illeciti. Nel corso delle indagini, infatti, si è disvelata una prassi illecita così radicata e collaudata, da poter essere considerata inserita in una più ampia politica d’impresa diretta all’aumento del business. Le condotte investigate non paiono frutto di iniziative estemporanee ed isolate di singoli, ma di una illecita politica di impresa”.
Il pubblico ministero ha inoltre posto l’accento sulla presenza di un doppio binario: da una parte un’organizzazione che rispetta le regole, dall’altra una struttura“informale, volta a seguire le regole dell’efficienza e del risultato. In questo modo, la costante e sistematica violazione delle regole genera la normalizzazione della devianza, in un contesto dove le irregolarità e le pratiche illecite vengono accettate ed in qualche modo promosse, in quanto considerate normali”.
L’affidamento della produzione ai laboratori cinesi avrebbe permesso la produzione alla metà del costo concordato. Le indagini hanno svelato retribuzioni pari a 6,25 euro l’ora, un importo sotto la soglia rispetto al Ccnl di categoria, nonché la pratica vietata di lavoro a cottimo. L’autorità ha inoltre posto l’accento sulla “totale inosservanza della normativa in materia di orario di lavoro,riposi e di quanto altro previsto dalla contrattazione collettiva”. Utilizzati anche come dormitori, gli opifici ospitavano una forte produzione in orario notturno “evidentemente legato all’esigenza di evitare i controlli da parte degli organi di vigilanza” che si concentrato negli orari d’ufficio.