All’interno dell’Esercito popolare di liberazione cinese (Elp) sono cominciati i preparativi per un conflitto inevitabile. A volerlo sarebbe Xi Jinping in persona impegnato in prima linea in una battaglia finalizzata ad espellere dal corpo militare comandanti contrari o inadatti ad una guerra. È quanto rivela Business Insider che ha raccolto le analisi di alcuni esperti che stravolgono le valutazioni raggiunte in precedenza dall’intelligence americana.
La campagna interna
Il presidente cinese “sta cercando di prendere il controllo dell’esercito e a mio avviso ritiene di aver bisogno di comandanti preparati a combattere per davvero” spiega Gordon Chang, esperto del Gatestone Institute. Tra i ranghi dell’Epl ci sarebbero infatti opinioni discordanti sulla necessità di condurre il Paese in guerra e molti alti ufficiali sarebbero contrari a tale prospettiva. “Le forze armate sono guidate da funzionari dubbiosi rispetto all’idea di un conflitto” aggiunge Chang citando come esemprio la sentenza di morte, poi sospesa, comminata nei confronti del generale delle forze aeree Liu Yazhou, “colpevole” di aver espresso delle riserve su una possibile invasione di Taiwan.
Sarebbe quindi questo il reale motivo delle purghe compiute negli ultimi mesi tra i vertici militari di Pechino che erano arrivate a coinvolgere anche due ministri della Difesa. Inoltre, come riportato dalla Reuters, a fine dicembre sono stati epurati nove ufficiali, alcuni dei quali appartenenti all’unità responsabile dei missili tattici e nucleari.
Sino ad ora gli 007 di Washington avevano ritenuto che il repulisti cinese fosse legato alla campagna anticorruzione lanciata da Xi subito dopo il suo arrivo al potere nel 2013. Per Joel Wuthnow, esperto della National Defense University di Washington D.C., l’obiettivo di sradicare la corruzione dal Paese, in particolare dal settore della difesa, starebbe procedendo comunque di pari passo con la volontà belligerante del leader di Pechino.
Un pericolo mondiale
La politica di Xi nei confronti dell’isola ribelle è “fallita” con la vittoria a Taiwan del candidato autonomista Lai Ching-Te e adesso il presidente cinese “deve mostrare i muscoli” per salvare la faccia, ha dichiarato al Washington Post Chen Fang-Yu, professore di Scienze politiche della Soochow University di Taipei. Però per diversi analisti ciò non si tradurrebbe necessariamente in un conflitto. Non almeno in tempi brevi anche se Xi durante l’incontro di San Francisco avrebbe detto a Joe Biden di volere la riunificazione con la provincia ribelle. Le uniche incognite rimarrebbero le modalità e le tempistiche.
Sebbene ci si attenda un’intensificazione da parte di Pechino delle intimidazioni, militari ed economiche, a danno di Taipei, Taiwan non è l’unico obiettivo per la Cina avendo quest’ultima relazioni tese con molti altri dei suoi vicini tra cui le Filippine, il Giappone e l’India. Riferendosi ai conflitti in corso in Europa e in Medio Oriente Chang sostiene che un’invasione cinese nell’Asia orientale potrebbe trascinare le potenze occidentali in una terza guerra mondiale. Riflettendo sulle conseguenze dell’aggressione russa all’Ucraina Wutnow invece appare più ottimista affermando che, come accaduto a Putin, Xi “pagherebbe un prezzo altissimo per le sue azioni”. E per lui, aggiunge l’esperto, “il fallimento dell’invasione sarebbe politicamente peggiore del non invadere”.