l 2023 segna un triste record: 1 cristiano su 7 patisce discriminazione o persecuzione» rivela Cristian Nani, direttore di Porte Aperte/Open Doors, l’associazione che denuncia soprusi e violenze subiti dai fedeli di Gesù. «È cruciale tornare a parlare di libertà religiosa nel dibattito pubblico» aggiunge, ma il politicamente corretto spesso ci fa dimenticare o sottovalutare le pene di tanti fratelli negli angoli più disparati del mondo. Un motivo in più per presentare oggi alle 11.30, alla sala stampa della Camera dei deputati, il rapporto annuale sulla lista nera dei 50 paesi dove i cristiani sono più nel mirino.
Al primo posto, dopo due anni di Afghanistan talebano, torna la Corea del Nord. Tolleranza zero per i cristiani, «che rende impossibile vivere la fede» e rimpatri forzati dalla Cina dei fuggitivi, almeno 900 lo scorso anno. Secondo Human Rights Watch sono «per lo più donne, che corrono il grave rischio di essere detenute in campi di lavoro forzato e di affrontare torture, violenza sessuale, sparizioni ed esecuzioni». Alcune vittime si avvicinano alla fede in carcere come Timothy Cho, che oggi porterà la sua testimonianza alla presentazione del rapporto di Porte aperte. A 15 anni, abbandonato dai genitori, l’hanno sbattuto dietro le sbarre. Poi è stato torturato con bastoni roventi e alla fine riesce a fuggire in Cina, dove lo riacciuffano, ma «in prigione ho trovato la fede proprio quando farla finita era l’unica opzione. Dio mi ha riportato dalla morte alla vita».
Il dato più impressionante del rapporto è che oltre 365 milioni di cristiani nel mondo subiscono «un livello alto di persecuzione e discriminazione a causa della propria fede». L’allarme rosso, dopo la Corea del Nord, riguarda altri 12 paesi: Somalia, Libia, Eritrea, Yemen, Nigeria, Pakistan, Sudan, Iran, Afghanistan, India, Siria, Arabia Saudita.
«Non solo massacri e rapimenti, ma più di 14mila chiese, cliniche e scuole cristiane attaccate o chiuse – denuncia Nani – e le oltre 27mila attività economiche saccheggiate o distrutte costringono alla fuga famiglie e intere comunità dando vita a esodi inumani e a una Chiesa profuga che grida aiuto».
Per fortuna sono diminuite nel 2023 le uccisioni dei cristiani dai 5.621 dell’anno prima a 4.998, in gran parte in Nigeria (4.100), che si conferma l’epicentro dei massacri. La media globale è di 13 cristiani assassinati al giorno. Le violenze peggiori in Nigeria si sono registrate nello stato di Plateau fra il 17 aprile e il 10 luglio 2023 con 315 vittime in gran parte cristiane, ma anche 31 musulmani finiti nel tritacarne jihadista. Il pastore Zachariah non dimenticherà mai «lo scenario devastante di gente scalza e coperta dal fango che scappava, dei feriti e dei cadaveri ovunque lungo la strada. Le case erano state date alle fiamme compresa la mia. Ho cercato mia moglie ed i figli, non li trovavo, ma poi ho visto i loro corpi senza vita».
Il direttore di Porte aperte spiega che «più si destabilizza l’Africa subsahariana, più cresce la violenza su base religiosa in quell’area per mano di milizie jihadiste e allevatori islamici Fulani (responsabili del massacro descritto dal pastore, nda). Si stima che oltre 16 milioni di cristiani sono sfollati o rifugiati in questa regione».
Anche il numero dei rapimenti, pur diminuendo, rimane alto: 3.906 in totale e ben 3.500 in tre nazioni africane (Nigeria, Repubblica Centrafricana e Congo). L’Eritrea è la «Corea del Nord dell’Africa», la Libia è al terzo posto dei paesi peggiori, nel Sudan travolto dalla guerra civile i fedeli sono in fuga, in Etiopia e Burkina Faso è stato registrato un netto aumento degli attacchi a chiese e attività commerciali dei cristiani.
In Asia, oltre al primato negativo della Corea del Nord, il rapporto di Porte aperte punta il dito contro altri due grandi paesi, la Cina e l’India. Le autorità comuniste di Pechino hanno chiuso o confiscato e in alcuni casi distrutto oltre 10mila luoghi di culto e proprietà pubbliche cristiane, due terzi del totale nel mondo (14.766 casi balzati dai 2.110 del 2022). Pechino poi è specialista «nella cosiddetta persecuzione digitale per limitare la libertà religiosa». Nonostante il «compromesso» storico con il Vaticano, la Cina ha messo in piedi un «modello» che monitora internet e censura oscurando anche «siti web e account social cristiani, molto visitati, per i «contenuti indesiderati».
In India «folle aggressive attaccano le chiese». Il rapporto cita la violenza scoppiata il 4 maggio 2023 nella zona di Churachandpur, nella città di Imphal. Il conflitto etnico si mescola a quello religioso, ma «secondo l’arcivescovo Dominic Lupon, 249 chiese sono state distrutte nelle prime 36 ore, prese di mira non da Kuki (prevalentemente cristiani) ma da folle Meitei Indù dirette da organizzazioni di vigilantes». Su 4.125 cristiani arrestati nel mondo, la metà è finita in manette in India.
Alla presentazione del rapporto prenderà la parola il deputato Emanuele Loperfido, di Fratelli d’Italia, in rappresentanza dell’Intergruppo per la tutela della libertà religiosa dei cristiani nel mondo. Libertà in pericolo anche in Nicaragua, dove il sandinista Daniel Ortega e sua moglie, la zarina rossa Rosario Murillo, hanno dichiarato «guerra» alla Chiesa incarcerando vescovi e prelati che alzano la testa contro il regime. In seguito alla condanna a 26 anni del vescovo di Matagalpa, Rolando Álvarez, «considerato un traditore del Paese» è intervenuta la Santa Sede. Lunedì il prelato, dopo 528 giorni di prigionia anche dura, e altri 18 ecclesiastici detenuti da Ortega sono stati espulsi e mandati in esilio a Roma. Nella culla della cristianità non si ferma l’esodo. «Più di un decennio di guerra civile in Siria aveva già disperso e diminuito la presenza cristiana nel Paese – si legge nel rapporto – Il devastante terremoto del febbraio 2023 ha peggiorato la già precaria situazione». E la stessa sorte obbligata sta assottigliando i cristiani palestinesi da Betlemme a Gaza.
Il rapporto 2024 di Porte aperte accende i riflettori anche sulle 3.231 vittime di abusi, stupri e matrimoni forzati, crimini doppiamente odiosi se la matrice è pure religiosa, denunciando che sono solo «la punta di un iceberg».