Una voragine da 157 miliardi. L’assistenza è una delle voci più problematiche nei bilanci dello Stato: costi esorbitanti e in crescita vertiginosa che convivono però con un aumento altrettanto esponenziale della povertà. C’è qualcosa che stride e su cui occorre intervenire: è l’allarme lanciato alla Camera in occasione della presentazione dell’undicesimo rapporto del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali.
Molti i dati a disposizione e alcuni anche confortanti: cresce per esempio il numero degli occupati che sono arrivati al 30 ottobre scorso a 23 milioni e 694 mila con un tasso del 61,8 per cento, record assoluto dal 1977. Anche se non c’è poi tanto da festeggiare: l’Europa è quasi 10 punti più avanti, al 70,4 per cento.
Torna a salire, anche se di poco, il numero dei pensionati: 16 milioni e 131 mila nel 2022, contro i 16 milioni e 98 mila del 2021. Combinando dunque le cifre, scopriamo che nel 2022, l’anno chiave del report, il rapporto fra attivi e pensionati si è attestato a quota 1,4443. I segnali, anche qui, sono positivi ma siamo ancora lontani da quel 1,5 che terrebbe in equilibrio il sistema pensionistico. E però, i relatori, a cominciare dal presidente del Centro Studi Alberto Brambilla, sottolineano anzitutto che è l’assistenza il vero tallone d’Achille del sistema. «Occorre una razionalizzazione del settore – s’infiamma Brambilla che ormai da troppo tempo appesantisce le casse dello Stato, generando debito e sottraendo risorse a investimenti e sviluppo».
Nel 2022 l’Italia ha destinato a pensioni, sanità e assistenza 559,513 miliardi, ma è appunto il terzo pilastro quello che scricchiola di più. Nel 2008 questo capitolo valeva 73 miliardi, 144,2 nel 2021. Un trend inquietante, con un incremento annuo del 7,67 per cento, addirittura tre volte superiore a quello della spesa per le pensioni che, peraltro, sono sorrette da contribuzioni di scopo.
«La macchina organizzativa aggiunge Alessandro Cattaneo, direttore dei dipartimenti di Forza Italia – è inefficiente e ancora oggi non abbiamo una banca dati dell’assistenza e un’anagrafe centralizzata dei lavoratori attivi, come pure stabilito da norme del 2004 e del 2015».
Spendiamo di più, molto di più per chi è rimasto indietro, ma il risultato è che la povertà è più che triplicata nell’arco di un quindicennio: nel 2008 erano in povertà assoluta 2 milioni e 100 mila persone, nel 2022 siamo arrivati a 5 milioni e 700 mila; anche la forbice della povertà relativa si è allargata da 6 milioni e mezzo a otto milioni e settecentomila. «Solo un monitoraggio efficace fra i diversi enti erogatori – Stato, Regioni, Comuni – insieme a una revisione dell’Isee, facilmente aggirabile – nota Brambilla – può permettere di contenere i costi, aiutando con strumenti adeguati esclusivamente quanti hanno davvero bisogno».
Il tutto con la previsione, non certo incoraggiante, che il debito, pubblico fra la fine del 2024 e l’inizio del 2025 sfonderà la soglia dei tremila miliardi. Va meglio il comparto previdenziale che assorbe il 12,97 per cento del pil e che può trovare una sua stabilità. Anche se non mancano le criticità su cui intervenire. Almeno tre: l’inverno demografico, la commistione fra previdenza e assistenza. «Infine – afferma Brambilla con una postilla tecnica che in realtà è una stilettata alle politiche della Lega – le troppe eccezioni alla legge Fornero e le troppe uscite anticipate dal mondo del lavoro». Il segretario della Cisl Luigi Sbarra mette in evidenza quel 12,97 per cento: «Un dato molto più basso del 16,97 per cento pubblicato nei documenti istituzionali. E dunque da indagare attentamente».